Il 21 settembre sull’ampio terrazzo di un’abitazione della buona borghesia romana è stato avvistato Enrico Michetti, il candidato a sindaco di Roma del centrodestra. La serata di gala, con piano bar e voce di Reo Confesso alias «voce delle notti romane», è stata officiata da un avvocato, Massimiliano Albanese, e promossa da Marco Siclari, il senatore di Forza Italia condannato in primo grado dal tribunale di Reggio Calabria a 5 anni e 4 mesi per voto di scambio politico-mafioso.

Albanese è un iscritto semplice del partito. Siclari, oltre a essere parlamentare di Forza Italia, è molto vicino ad Antonio Tajani, il leader del dopo Cavaliere. Quella sera sulla terrazza della capitale c’era anche Maurizio Gasparri, in forma smagliante, le foto lo ritraggono mentre ride di gran gusto con i padroni di casa. L’avvocato Albanese contattato da Domani difende strenuamente Siclari, nonostante la condanna per aver chiesto i voti alla ‘ndrangheta: «È un caro amico, vittima di malagiustizia come molti altri purtroppo».

La presenza di Siclari nella campagna di Michetti imbarazza? «Ma no, io rivendico l’amicizia con Marco, nei gradi successivi sarà assolto». I giudici hanno condannato Siclari perché ha ottenuto un pacchetto di voti in provincia di Reggio Calabria da un clan riferibile alla potente famiglia Alvaro, brand storico della criminalità organizzata calabrese.

Allo stesso tempo non avrebbe fatto mancare il suo sostegno quando richiesto: l’intervento del politico, all’epoca da poco eletto in parlamento, sarebbe stato decisivo per esaudire la richiesta di trasferimento di un parente dei boss in un ufficio delle Poste più vicino a casa. «Siclari si pose nei confronti della ’ndrangheta come un uomo a disposizione con cui poter dialogare», scrivevano gli investigatori. Per raggiungere l’obiettivo, si legge negli atti, Siclari avrebbe coinvolto anche Tajani, in contatto con «una persona che avrebbe potuto sbloccare la situazione». Il coordinatore di Forza Italia, in quel periodo presidente del parlamento europeo, è rimasto fuori dell’inchiesta.

Per Siclari la procura antimafia aveva chiesto gli arresti domiciliari nel maggio 2020 e inviato il fascicolo alla Giunta per le autorizzazioni a procedere del Senato, organo deputato a decidere sulla sorte dei senatori sotto inchiesta. La giunta, presieduta dal suo collega di Forza Italia Maurizio Gasparri, non si è mai espressa in merito. E così Gasparri è riuscito nell’impresa pressoché impossibile di arrivare dopo una sentenza dei giudici, bel paradosso per un partito che accusa le toghe di essere lente come lumache.

Festa azzurra

Gasparri lo ritroviamo sorridente con Siclari alla festa per Michetti, ospiti sulla terrazza romana. Sui i tavoli tra flûte e piattini di tartine c’erano sparsi santini elettorali dei candidati di Forza Italia al consiglio comunale. Il senatore di Fi il giorno prima della cena elettorale aveva partecipato con Tajani alla riunione dell’ufficio di presidenza del Partito popolare europeo che si è svolta a Roma, un evento ristretto per la dirigenza del gruppo. Siclari che in quei giorni era in attesa di giudizio e con la solita richiesta di arresto pendente, si dava comunque da fare per raccogliere voti a favore di Michetti. Anche nelle settimane precedenti il trio Michetti–Siclari–Albanese si era ritrovato a casa di amici per «festeggiare», come si legge in un post sul profilo Facebook dell’avvocato. Trio che si riunisce, appunto, la sera del 21 settembre, il giorno della festa in grande stile che, assicura Albanese, «non è servita a finanziare la campagna elettorale ma solo a costruire una rete di consenso tra professionisti, imprenditori, esponenti della curia».

Albanese ammette che le spese della serata «sono state coperte da noi» e non dal comitato di Michetti. La cifra non è nota, mentre è certo il numero di persone presenti, un’ottantina. «C’era il presidente dell’ordine dei medici di Roma, mio carissimo amico, c’era padre Simeone Catsinas, uno dei leader della chiesa ortodossa, quella sera era stato invitato anche un cardinale ma non ha partecipato per problemi di salute», dice Albanese. Sugli imprenditori, invece, l’avvocato preferisce non fare i nomi. Parla solo di «importanti rappresentanti del mondo delle costruzioni della città e di un noto imprenditore della farmaceutica».

Loggia e politica?

Albanese, sostenitore di Michetti, ha difeso la Gran loggia regolare d’Italia, tra le più antiche associazioni massoniche italiane: «La commissione antimafia guidata da Rosy Bindi aveva chiesto al gran maestro di consegnare l’elenco per verificare i nomi degli iscritti». Il caso aveva provocato un vero polverone e una serie di ricorsi contro la commissione che stava indagando sulla presenza dei clan all’interno delle logge. Alcune fonti riferiscono che Albanese è iscritto alla Gran loggia, lui tentenna e replica: «Sono un amico di Venzi (Fabio, il gran maestro della loggia, ndr), ho assunto l’incarico per fiducia personale». Dunque non è nella loggia? «La domanda non è attinente alla conversazione, non le sto dicendo di sì, non le sto rispondendo».

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Nel 2008 Albanese era un giovane imprenditore in Toscana. Con il padre è stato accusato di aver dato fuoco a un pub i cui titolari avevano un contenzioso in corso con l’avvocato, che si difende: «C’è stato un contenzioso giudiziario, ma è una vicenda ancora pendente». La sua posizione, dice, «non è ancora definita». Giustizia lumaca, a differenza di quanto accaduto all’amico Siclari.

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