«Sarà stato impegnato», ha tagliato corto il capogruppo della Lega in Senato, Massimiliano Romeo. Certo è che non è passata inosservata l’assenza del ministro e vicepremier Matteo Salvini durante le comunicazioni della presidente Giorgia Meloni in vista del Consiglio europeo.

La politica estera

Senza l’ingombrante alleato a fianco, che nei giorni scorsi ha imbarazzato il governo spiegando che la vittoria alle elezioni di Vladimir Putin è una prova di democrazia, la premier ha più volte guardato l’altro vice, Antonio Tajani, con cui l’intesa ora è massima. E ha confermato la linea già fissata dalla Farnesina, ribadendo «la nostra condanna allo svolgimento di elezioni farsa in territorio ucraino» e ricordando il dissidente Aleksej Navalny, «il cui sacrificio in nome delle libertà non sarà dimenticato».

Una frecciata nemmeno troppo mascherata al leader leghista, che su entrambi i temi ha sposato posizioni diverse rispetto a quelle della maggioranza di governo. Eppure, «la maggioranza è coesa», ha ripetuto Meloni in una intervista ad Agorà, utile a limitare i danni nonostante – come le ha fatto notare Riccardo Magi di +Europa dai banchi dell’opposizione – anche lei nel 2018 si era complimentata per la vittoria del presidente russo.

In Aula la premier ha pesato le parole, consapevole del fatto che anche a livello europeo la fase stia cambiando dopo l’annuncio del presidente francese Emmanuel Macron di un possibile intervento militare a sostegno dell’Ucraina. «La nostra posizione non è favorevole in alcun modo a questa ipotesi, che consideriamo foriera di un escalation pericolosa», ha detto Meloni.

Anche sul conflitto in medio oriente la premier ha tenuto ferme le posizioni di sempre: condanna del massacro dei civili israeliani dell’ottobre scorso da parte di Hamas, da ribadire «perché la reticenza nel farlo tradisce un antisemitismo latente ma che è dilagante», ma allo stesso tempo necessità che Israele rispetti il diritto internazionale e la proporzionalità nell’esercizio del proprio diritto a difendersi, «di fronte all’enorme tributo di vittime innocenti a Gaza, vittime due volte: di Hamas, che le utilizza come scudi umani, e delle truppe israeliane».

La premier ha poi ricordato l’impegno italiano nel Mar Rosso, dove la marina opera per difendere il traffico marittimo dagli attacchi degli Houti. Se la posizione in politica estera è chiara nonostante le sterzate di Salvini, il vero picco di Meloni è arrivato su due parole d’ordine che saranno anche, con tutta probabilità, il suo cavallo di battaglia nella campagna elettorale per le europee.

Migranti e agricoltura

La premier ha voluto intestarsi il merito che, «su spinta italiana» all’ordine del giorno del Consiglio di Bruxelles ci sarà sia un punto sulla situazione migratoria sia sull’agricoltura.

Appena ritornata da un vertice in Egitto, Meloni è tornata a puntare sulla necessità di allargare al Mediterraneo il modello dei blocchi alle partenze sperimentato in Tunisia. «Gli ultimi dati forniti da Frontex certificano un calo di arrivi sulla rotta del Mediterraneo centrale di circa il 60 per cento nei primi mesi del 2024 rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente, con una sensibile diminuzione proprio di quelli provenienti dalla Tunisia».

Memore del movimento dei trattori, la premier ha rivendicato anche la battaglia contro «l’appesantimento burocratico della Pac e dall’accanimento ideologico del Green deal», con l’obiettivo di intervenire sulla politica agricola comune alla luce della guerra in Ucraina: «La recente proposta della Commissione va nella giusta direzione riprendendo le proposte italiane» e va rafforzata «la nostra risposta alla concorrenza sleale dei paesi terzi affermando il principio di reciprocità».

Parole d’ordine che piacciono all’elettorato di centrodestra e che FdI intende sottrarre definitivamente alla Lega. Secondo fonti meloniane il modo migliore per neutralizzare il riottoso alleato è quello di lasciarlo solo nell’esasperare i toni senza ingaggiare scontri che ne amplificherebbero il messaggio, togliendogli nel frattempo spazio di azione concreta.

I pronostici

Meloni, tuttavia, è apparsa ben consapevole di due dinamiche in corso. La prima è tutta interna e riguarda la volatilità dell’elettorato italiano, che negli ultimi anni e soprattutto alle europee ha portato sulle stelle e poi tramutato in meteore partiti e leader, da Matteo Renzi a Salvini. Per questo ha voluto mandare un altro segnale, che i suoi hanno letto come un ordine a tenere piedi per terra.

«Per me una vittoria sarebbe confermare i voti che mi hanno portato a palazzo Chigi un anno e mezzo fa, cosa non facile, non accade spesso che dopo un anno e mezzo un governo possa confermare quel consenso», ha detto ai microfoni di Agorà.

Tradotto: l’obiettivo per le europee è il 26 per cento e non il 30 come è più volte trapelato, tutto l’extra va celebrato come una vittoria. Con un dettaglio: gli ultimi sondaggi collocano Fratelli d’Italia sopra il 27 per cento, quindi il risultato è virtualmente già raggiunto, ma le oscillazioni delle ultime settimane mostrano una leggera flessione verso il basso. Prudenza, dunque.

Meloni non ha intenzione né di mettersi in concorrenza con stagioni politiche passate né di offrire il fianco a teorie sul proprio indebolimento, «l’obiettivo 30 per cento lo abbiamo letto solo sui giornali», è la spiegazione dei suoi.

Il secondo aspetto, invece, riguarda la leadership sempre più fragile dell’attuale presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen. Meloni ha lavorato molto per costruire con lei un rapporto privilegiato e aprire il dialogo con il Ppe, ma gli apparenti smottamenti intorno alla sua figura la costringono a ragionare verso nuovi scenari. Anche per questo, la prudenza è la parola d’ordine.

E al Senato ha ribadito ciò che aveva già detto ai critici del suo rapporto con l’Ungheria di Viktor Orbán: «La mia linea è quella di dialogare con tutti e non solo con alcuni». In attesa che lo scenario si chiarisca.

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