Le liste del Partito democratico continuano a generare tensioni. Il terremoto politico ha avuto questa volta l’epicentro in Puglia, ma ha fatto sentire i propri effetti fino al quartier generale del Pd, con tanto di ricorso alla commissione di garanzia per cancellare le candidature regionali. E dire che la giornata era anche iniziata bene per il segretario Enrico Letta, che ha appreso dell’accettazione di sfide complicate da parte della deputata Alessia Morani, in posizione difficilmente eleggibile alla Camera nelle Marche, e del senatore Tommaso Nannicini, candidato al collegio uninominale Prato-Pistoia-Mugello. Ma nemmeno il tempo di chiudere un capitolo delicato, che è arrivato sul tavolo di Largo del Nazareno, la sede del Pd, un problema ancora più grande.

Emiliano nel mirino

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Dalla Puglia è partita la rivolta contro la composizione delle liste, definite «invotabili» e addirittura «illegali» dai consiglieri regionali dem, Fabiano Amati e Ruggiero Mennea, promotori del ricorso interno per giungere alla riscrittura delle candidature. Una protesta che ha coinvolto anche i Giovani democratici locali, in dissenso verso la linea regionale del partito.

Il principale bersaglio delle critiche è il presidente della regione, Michele Emiliano, accusato di aver gestito in solitaria il dossier, piazzando i fedelissimi, come nel caso del vicepresidente della giunta, Raffaele Piemontese, da anni pupillo del governatore, inserito in cima al listino proporzionale a Foggia. «Non è mica una colpa essere amico di Emiliano, con cui abbiamo un rapporto politico di confronto quotidiano.

Lui valorizza chi si spende sul territorio ed è in grado di conquistare voti», dice Piemontese. Scorrendo l’elenco dei capolista, spuntano comunque tutti nomi di profili molto vicini al presidente della giunta, come il capo di gabinetto della regione Puglia, Claudio Stefanazzi, candidato a Lecce, e il deputato uscente Ubaldo Pagano, committente responsabile delle inserzioni a pagamento di Emiliano durante l’ultima campagna elettorale delle regionali. A completare il tris dei capilista c’è il segretario regionale del Pd, Marco Lacarra, altro pretoriano del presidente.

Poche donne

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Di fronte a queste scelte, Amati e Mennea hanno lanciato una pubblica accusa, sostenendo ci sia una violazione delle regole interne. A pesare, secondo la denuncia della minoranza interna, è in particolare il mancato rispetto della parità di genere, uno dei punti più cari alla gestione di Letta.

Ci sono «soli capilista uomini», fanno notare Amati e Menna, sottolineando a loro giudizio l’assenza di «sistema di ampia consultazione» e di «designazioni collegiali». L’alternanza uomo-donna esiste, quindi, solo sulla carta.

Più in generale i due ritengono non ci sia stata una «modalità democratica di approvazione delle candidature». Quindi le forzature sono tali da «determinare l’annullamento delle liste dei candidati».

Mentre dal gruppo radicolite del Pd pugliese, coordinato da Cinzia Dicorato, viene rilanciato il nome di Assuntela Messina, senatrice e sottosegretaria all’innovazione del governo Draghi, insieme a Shady Alizadeh che «rappresenta anche la comunità nazionale di coloro che venuti in Italia per ragioni politiche si sono integrati costruendo il loro futuro e quello dei loro figli», secondo il gruppo rappresentato da Dicorato. Un appello destinato a finire nel dimenticatoio.

La richiesta di revisione delle candidature difficilmente potrà andare in porto. Emiliano gestisce la macchina del consenso e potrebbe ribaltare il tavolo, portando a una spaccatura definitiva con i vertici del partito nazionale. Aggiungendo altro caos, visto che la composizione delle liste ha ricevuto l’avallo di Francesco Boccia, uomo di fiducia di Letta, candidato in Puglia.

Piemontese, respinge così gli addebiti: «Le candidature sono espressioni del territorio e sono convinto che se avessimo fatto le primarie, impossibili da organizzare vista l’improvvisa accelerazione verso il voto, non avremmo avuto un risultato diverso. Letta ha fatto un ottimo lavoro».

Una promozione, quella di Piemontese, che riguarda pure il coinvolgimento di profili civici, che invece risulta un altro punto indigesto in parte del Pd pugliese. Ci sarebbe stata una penalizzazione di altri dirigenti del partito, mentre per i fedelissimi di Emiliano i candidati civici sono «un valore aggiunto».

Non sfugge, tuttavia, che in virtù di queste scelte, la presidente del Consiglio regionale in Puglia, Loredana Capone, storica esponente della sinistra pugliese, sia stata piazzata in quarta posizione in lista al Senato.

Davanti a lei figurano Boccia, e due paracadutati, la napoletana Valeria Valente e il bergamasco Antonio Misiani, questi ultimi candidati anche in collegi uninominali. Secondo le indicazioni dei territori Capone avrebbe dovuto ottenere un posizionamento migliore per potersi giocare effettivamente le chance di ingresso in parlamento. Invece la presidente del Consiglio regionale deve sperare in una serie improbabile di incastri, con la concomitante vittoria di Valente e Misiani negli uninominali.

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