Nelle due regioni più importanti d’Italia, per popolazione e Pil, la destra ha candidati deboli. Se vincerà sarà, ancora una volta, per le divisioni dell’altro campo. Oggi come a settembre, le responsabilità non sono solo del Partito Democratico. Sono anche di Calenda, di Conte, che pare non vogliano nemmeno porsi il problema di costruire una coalizione competitiva.

Che fare per rimediare a questa situazione? L’ostilità del Terzo polo verso i 5stelle non sembra superabile, almeno a breve. La sorregge l’idea, la scommessa che il populismo dei Cinquestelle possa essere sconfitto con la buona politica, la loro.

Ora, a parte la correttezza di queste caratterizzazioni (c’è molto di populistico anche nella retorica di Calenda e di Renzi) il punto è che, finora, questo non si è verificato. Anzi, se mai è accaduto il contrario.

Alla fredda luce dei fatti, Calenda e Renzi, e chi anche nel Pd replica la loro impostazione, si rivelano in questa fase storica i veri massimalisti: perché si pongono un obiettivo massimo, non realizzabile, e in nome di quell’obiettivo rifiutano i necessari compromessi; accettando quindi la sconfitta del riformismo e la vittoria delle destre.

Ben altro ci dicono i fatti. Esiste oggi un ampio popolo di centro-sinistra, maggioritario forse anche rispetto alle destre, che deve essere portato in una credibile prospettiva di governo.

Questo popolo chiede politiche per la dignità del lavoro e contro la precarietà, contro le disuguaglianze e per i beni pubblici; chiede investimenti per la conversione ecologica, e vuole che a pagarne i costi non siano più deboli; chiede di difendere e se possibile di fare avanzare i diritti civili; e vorrebbe un’Europa più forte, che investa nell’ambiente e nel sociale come aveva iniziato a fare con il Pnrr, e che sia nel mondo un attore di pace.

È un popolo diviso oggi soprattutto fra i Cinquestelle e il Pd (con alleati). Le velleità demagogiche che pure lo attraversano devono essere ricondotte in una coalizione progressista, la cui guida sia chiaramente di governo ed europeista.

Si può anche sperare che l’attrattività di questa coalizione spinga fra i centristi gli spiriti più ragionevoli a prevalere, isolando le tendenze «massimaliste» di cui si diceva (o almeno, che convinca una parte dei loro elettori).

Per il Partito Democratico questa prospettiva è fondamentale non solo per ragioni di convenienza elettorale: dal 2020 al giugno 2022 il Pd ha vinto molte elezioni amministrative ed era intorno o sopra il 20 per cento.

Ma lo è per due motivi di fondo. Perché proprio a questo deve servire una forza di sinistra, o di centro-sinistra (o riformista, se la parola ha ancora un senso). E poi perché una politica di questo tipo fa bene, oggi, all’Italia tutta, può essere una buona strategia per uscire dal declino e per una crescita meglio orientata alla qualità della vita.

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