Dietro il velo fatto calare sulla politica dall’arrivo di Mario Draghi a palazzo Chigi, la sinistra ribolle. Anzi, ribolle il campo progressista, perché l’idea di far nascere una nuova “cosa rossa” non piace a nessuno, come nemmeno l’idea di creare un nuovo soggetto. Eppure qualcosa sta partendo e a dare il via è stata Elly Schlein. Lei, che dopo il successo alle regionali in Emilia-Romagna è stata incoronata come speranza di una nuova classe dirigente, non si era ancora convinta a fare il passo che in molti le chiedevano. Ma nei giorni scorsi ha rotto gli indugi: in un video pubblicato sui social ha lanciato il progetto di una nuova rete, un luogo di incontro trasversale per le forze politiche e i movimenti. I temi intorno a cui costruire sono un mix di passato e presente: il primo è la transizione ecologica, la vera scommessa del Recovery plan, poi ci sono gli storici obiettivi della sinistra di investire sul lavoro di qualità e la lotta alle disuguaglianze. I punti fermi intorno a cui Schlein ha costruito la sua lista alle regionali, “Coraggiosa”, che ora si sta consolidando sul territorio emiliano in chiave elettorale: è stata presentata alle comunali di Imola, Vignola e Faenza e dovrebbe farlo anche a Rimini e Ravenna.

C’è già stata una prima riunione trasversale. Per ora una semplice chiacchierata su Zoom, ma utile a fissare due elementi. Il primo è quello di chi siano i primi invitati per provare a immaginare questa rete: alcuni esponenti del Partito democratico, tra le fila dei dirigenti più giovani; un rappresentante di Articolo 1; uno di Sinistra italiana e Mattia Santori per le Sardine. Il secondo punto fermo è che è prematuro qualsiasi ragionamento che punti alla costruzione di un nuovo soggetto politico, perché a mancare sono le condizioni sia interne che esterne.

La scommessa

Il motore del progetto è l’attuale vicepresidente dell’Emilia-Romagna. Padre americano e madre bolognese, Schlein ha iniziato a fare politica da giovanissima e nel 2008 ha partecipato come volontaria alla campagna di Barack Obama. Tornata a Bologna, si è mossa in una dimensione che l’ha portata a conoscere bene tutti i mondi politici che oggi ha fatto sedere intorno al tavolo. La passione per la politica italiana nasce all’università di Bologna dove frequenta anche il mondo dei movimenti, confluisce naturalmente nel Pd che l’ha eletta al parlamento europeo nel 2014 in quota Civati e da cui è uscita insieme al fondatore di Possibile; si è poi avvicinata all’area della sinistra europea in cui ha trovato corrispondenza sul fronte dei temi, in particolare sull’ambiente e sui migranti. Nel 2020 si è candidata a sostegno del democratico Stefano Bonaccini ma con una sua lista civica autonoma, che l’ha resa uno dei nuovi volti riconoscibili della politica italiana.

La domanda è dove andare ora. I suoi punti di forza sono quelli che le hanno restituito grande consenso elettorale: da un lato la carica umana e la capacità di stare in mezzo agli elettori, conquistandoli a tu per tu; dall’altra il suo essere «una secchiona», come la definisce chi la conosce. In Europa ha studiato, approfondito e si è fatta le ossa, tanto che oggi è in grado di maneggiare qualsiasi argomento di dibattito. Poi in televisione funziona: sa gestire e orientare la conversazione, svecchia l’immagine della sinistra in doppiopetto.

A mancarle ancora però, secondo chi l’ha vista all’opera anche in questa prima fase di costruzione, è la statura della leadership politica. Ottima sui social e perfetta nelle piazze, è circondata da una squadra organizzativa strutturata ma non è riuscita a far coagulare intorno a sé una generazione non di elettori, ma di dirigenti politici. Proprio questa dimensione - nascosta e che anzi quasi stona in una politica che oggi è molto caricata sull’immagine individuale – è però indispensabile a creare la rete che lei ora vuole costruire.

Soprattutto a sinistra, la pecca di Schlein riguarda proprio il dialogo: o meglio la sua assenza. Schlein non ha canali di comunicazione aperti con la Cgil di Maurizio Landini né con i “grandi vecchi”, da Luciana Castellina a Mario Tronti fino a Massimo D’Alema. Il che da alcuni è considerato un vanto perchè sposta il focus sui rapporti orizzontali dentro la nuova generazione, ma per i più cinici (o i più politici) è il segnale che non ha ancora fatto l’ultimo passo, quello necessario a imparare i tasti giusti per tentare la sfida di riunire i progressisti.

Eppure, proprio a sinistra ci sarebbe maggior attenzione per il suo progetto di rete: nessuno è disposto a sciogliersi in un nuovo contenitore, ma piace l’intuizione di dare una dimensione a tutto ciò che è rimasto fuori o che negli anni è uscito dal Pd, che siano partiti o movimenti. Un blocco che sarebbe disposto a individuare in Schlein una portabandiera, che poi costruisca un asse con l’attuale Pd prima sui temi e poi chissà. E in quel chissà starebbe forse la suggestione dell’ex segretario oggi in Articolo 1, Pierluigi Bersani, che ha auspicato la nascita di una «nuova cosa di centrosinistra».

Il progetto di Letta

La riunione su Zoom, però, è avvenuta nelle ultime settimane della stanca segreteria di Nicola Zingaretti. Anche in quella fase oggi superata gli invitati democratici hanno messo in chiaro che loro sono e rimarranno nel Pd e che il partito non ha alcuna prospettiva di sciogliersi nell’immediato futuro, ma sono interessati ad ascoltare le altre forze progressiste per cercare una convergenza su un programma riformatore comune. Ora che si è aperta la fase di Enrico Letta le condizioni sono cambiate, però. Le sue dichiarazioni all’assemblea del Pd e in particolare quella sulle «agorà democratiche, composte da interni ed esterni al partito» sono suonate alle orecchie di molti come l’altra metà del ponte che già Schlein starebbe costruendo. Il punto, però, è capire quale spazio Schlein vuole trovare – o prendersi – e soprattutto se queste agorà non puntino ad essere un modo per riportare nell’orbita dem tutti quelli che elettoralmente vengono chiamati «i cespugli»: quei gruppuscoli che hanno troppo poco peso, soprattutto a legge elettorale invariata, ma che trovano una loro dimensione nell’alleanza.

L’altra incognita riguarda lo stesso Letta e i suoi obiettivi politici. Ha detto che non è venuto per «guidare il Pd a una sconfitta», archiviando così l’incoronazione di Zingaretti a Giuseppe Conte come «punto di riferimento fortissimo dei progressisti». Quella di Letta non è certo una leadership naturale per i dem, ma con il lavoro potrebbe comunque essere solida. E dunque chiuderebbe lo spazio al sorgere della stella Schlein sul piano nazionale. I detrattori, infatti, ragionano col cinismo elettorale: la scommessa della rete di Schlein è che il Pd davvero spalanchi le porte, per scansarsi e far spazio a una nuova dimensione che porti con sé una nuova leader. Difficile non solo nel Pd, ma in qualunque partito.

Il futuro di Conte

Alla riunione zoom, infine, c’era un convitato di pietra. Il Movimento 5 stelle non è stato invitato con nemmeno un rappresentante. Del resto Schlein, da conoscitrice delle piazze, sa quanto l’alleanza parlamentare tra il Pd e i grillini sia tutt’altro che digerita sui territori e ne ha avuto prova concreta proprio alle regionali emiliane, dove Bonaccini ha rivendicato di aver sconfitto la Lega grazie ai movimenti come le Sardine e senza i Cinque stelle. Eppure, se la rete di Schlein ha l’ambizione di avere una dimensione nazionale, non può prescindere dalla scelta di quale ruolo dare al nuovo movimento di Giuseppe Conte. Il Pd di Zingaretti e anche Articolo 1 hanno costruito un dialogo parlamentare molto fitto coi grillini e sono arrivati a teorizzare l’alleanza strutturale, giustificata a maggior ragione ora che il leader del movimento è l’ex premier Conte. Letta ha frenato, ma prudentemente non ha chiuso. Dunque, si chiedono le forze che sono state fino ad ora sondate, bisogna capire dove collocare Conte. Se tra gli amici oppure tra gli avversari, soprattutto ora che – per quel che contano i sondaggi – i Cinque stelle valgono il 15 per cento.

Tutto è ancora scritto sulla sabbia. Anche perché, dicono i maligni che non si sono ancora fatti conquistare dal progetto e rimangono legati alla struttura politica tradizionale, Schlein è l’unica con un piano B e che ha in tasca il bene politicamente più prezioso, cioè un orizzonte temporale lungo. Per la politica italiana è giovane, è stata appena eletta in Emilia e ha conquistato un ruolo preminente nella giunta Bonaccini, nella sua regione sta consolidando il suo bacino elettorale. Il che la rende una perfetta leader in ascesa, ma anche in una posizione diversa rispetto a molti dei suoi interlocutori, che invece sono parte di partiti nazionali e in difficoltà elettorale, appesi al filo di un governo istituzionale di cui non si conosce la durata.

La fase è ancora delicatissima: da un lato c’è chi chiede a Schlein di accelerare, dall’altra lei sa che il rischio è spegnere una scintilla appena accesa. Un termine di massima in cui dare forma a qualcosa di concreto sarebbe stato fissato per il prossimo settembre, anche immaginando una progressiva uscita dalla pandemia. Però molto dipende dall’evolversi dei prossimi mesi: tutto è pronto a inabissarsi, per riemergere quando le condizioni saranno più mature. Se mai lo saranno.

 

© Riproduzione riservata