Il paesi del G7, Canada, Francia, Germania, Giappone, Italia, Regno Unito e Stati Uniti d'America sono tutti d’accordo sull’embargo al petrolio russo, ma non su quando deve partire. Il problema non è soltanto quanto greggio importare e da dove, ma anhe come lavorarlo. Alcuni impianti europei, infatti,sono progettati apposta per lavorare il greggio di Mosca
Che il problema riguardi tutta la filiera e non solo il “petrolio”, lo ha ammesso per la prima volta al Financial Times tre giorni fa l’Alto rappresentante per la politica estera Josep Borrell confermando i rumors che si susseguono da giorni a Bruxelles e aprendo alla possibilità di concedere più fondi ai paesi riluttanti, in prima fila l’Ungheria.

La Commissione inoltre sta valutando la possibilità di creare un secondo Recovery fund per l'energia. A quanto ha riportato Policy Europe, l'Esecutivo europeo starebbe infatti portando avanti un giro di consultazioni tra gli Stati membri per sondare la fattibilità di questa proposta.

La presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen è andata a parlarne direttamente con il primo ministro ungherese Viktor Orbàn, il più ostile in Europa. A Budapest, ha spiegato un portavoce, ha discusso di questioni connesse alla «sicurezza degli approvvigionamenti energetici europei». 

Borrell ha riferito di comprendere le resistenze di Ungheria, Slovacchia e Repubblica Ceca. I tre paesi, infatti, sono dipendenti dalla fornitura di petrolio greggio che passa attraverso Druzhba, l’oleodotto che parte dalla Russia trasporta il petrolio a Ucraina, Bielorussia, Polonia, Ungheria, Slovacchia, Repubblica Ceca e Germania. Per questo si è ipotizzato per loro un embargo in tempi diversi.

La maggior parte dei paesi dell'Ue dovrebbe vietare il greggio russo entro sei mesi, a Ungheria e Slovacchia sarebbe invece concesso sino alla fine del 2024, alla Repubblica Ceca fino a giugno del 2024.

«L'Ungheria è un paese senza sbocco sul mare. Non esiste altro oleodotto che trasporti petrolio in Ungheria se non quello proveniente dalla Russia», non solo riconosce Borrell: «La loro raffineria è stata realizzata sulla base delle caratteristiche fisiche del petrolio russo».

Sei raffinerie

Il problema non riguarda solo l’Ungheria. Il think tank Bruegel ha spiegato che il fatto che gran parte delle importazioni di petrolio greggio in Europa avvenga via nave piuttosto che tramite oleodotto significa che, in linea di principio, sostituire il petrolio russo non è difficile come staccarsi dal gas.

Tuttavia, se le forniture di petrolio russo si fermano, sarà difficile reindirizzare il petrolio greggio e i prodotti petroliferi all'interno dell'Ue. L'infrastruttura è progettata per flussi da est a ovest e lo spostamento di petrolio greggio e prodotti verso est potrebbe comportare movimenti anomali di greggio, anche tramite ferrovia, camion e chiatta fluviale.

Alcune raffinerie europee sono ottimizzate per il petrolio russo e saranno meno efficienti con una diversa qualità di greggio. Il problema riguarda in particolare sei impianti lungo l’oleodotto: in Polonia, Germania, Cechia, Austria, Ungheria e Slovacchia.

Il greggio iracheno e iraniano si avvicinano di più a quello russo, ma, commenta Lisa Orlandi, Analista del Rie-Ricerche industriali ed Energetiche, «i greggi del Medio Oriente sono principalmente destinati al mercato asiatico, su cui sono riusciti a spuntare prezzi più elevati».

Nel 2019, ricorda il Bruegel Center, le raffinerie che lavorano il petrolio russo che arriva tramite oleodotto, sono state sottoposte a uno stress test: i flussi sono stati interrotti a causa di una contaminazione del prodotto ed è stato necessario attingere dalle riserve strategiche.

Non ci sono stati particolari problemi, ma queste interruzioni sono durate solo due mesi. «Se non è possibile alimentare queste raffinerie» bisognerà usare raffinerie «alternative per soddisfare la domanda del prodotto finale».

Il diesel

Le altre raffinerie europee, soprattutto quelle costruite vicino ai porti hanno maggiore facilità di trovare alternative, ma ma non sarebbe comunque facile sopperire all’assenza di fornitrue russe. 

Se il commercio di petrolio Ue-Russia si fermasse, verrebbero messi fuori mercato circa 3 milioni di barili al giorno di offerta di greggio russo e circa 1 milione di barili al giorno di prodotti petroliferi, con un grave shock per l'offerta globale. Non è chiaro se i fornitori sarebbero in grado o disposti a compensare il deficit e in quanto tempo.

Poi c’è il problema il diesel. Ursula von der Leyen ha proposto sin da subito un embargo per i prodotti raffinati a partire dal 2023, dunque più tardi rispetto al greggio.

La raffinazione europea è sbilanciata verso la produzione di benzina, mentre si rileva un cronico deficit lato diesel. La Russia è il primo fornitore di gasolio dell’Europa, ma, dice  Orlandi di Rie, per quanto riguarda il trasporto stradale «il consumo di diesel rispetto a quello della benzina è sensibilmente superiore in tutti i paesi Ue».

Per sostituire la perdita di approvvigionamento di diesel russo secondo Bruegel le raffinerie europee dovrebbero aumentare l’attività «di circa 10 punti percentuali, portandole a quasi il 90 per cento della capacità totale» e questo «sarebbe il più alto tasso di utilizzo di questo secolo».

Alcuni paesi esportatori, tra cui l’Italia, potrebbero destinare l’export al mercato interno «ma a livello medio Ue – spiega Orlandi – rimarrebbe la criticità». E si torna ancora al problema dei prezzi: «Reperire il diesel altrove ha un costo rilevante rispetto alle forniture russe, senza contare che la potenziale scarsità si è già riflessa nei suoi prezzi ormai superiori a quelli della benzina».

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