Comicia oggi il viaggio diplomatico più importante per Giorgia Meloni. In giornata sarà a Washington e prima visiterà il Congresso, poi incontrerà il presidente americano Joe Biden. Anche solo l’invito a Washington della premier italiana è però una vittoria in credibilità: pochissimi, infatti, sono stati fino ad oggi i leader di destra accolti dalla Casa Bianca a guida democratica. Meloni invece ha incassato credito oltreoceano grazie alle sue posizioni nette sul conflitto ucraino, schierando l’Italia al fianco di Kiev e contro la Russia, pur guidando un esecutivo in cui gli alleati non avevano una posizione così netta. Inoltre, Biden è consapevole del ruolo italiano in Europa in vista delle prossime elezioni europee, le prime dopo l’uscita dell’alleato britannico.

A farlo notare è il Washigton Post, che ha definito Meloni «l’astro nascente dell’estrema destra» e una leader che «si è guadagnata la reputazione di una con cui Washington e Bruxelles possono ragionare». Il quotidiano ha ricordato che l’agenda politica di Fratelli d’Italia – «difesa della famiglia tradizionale», «la non trascrizione dei figli di coppie gay» e «la campagna aggressiva contro i giornalisti con orientamenti di sinistra in Rai» – potrebbero «mettere in imbarazzo Biden», ma ha sottolineato che Meloni «non ha mostrato le tendenze autoritarie che hanno innervosito gli Usa nei confronti di altri leader di estrema destra europea».

Con l’onore dell’invito e il blasone personale, però, il bilaterale porta con sè anche oneri pesanti. Formalmente, i temi principali sul tavolo saranno «Africa e Ucraina», ma lo studio ovale ha confermato che si parlerà anche «di Cina».

La questione che preoccupa di più gli Usa, infatti, è la via della Seta e le relazioni commerciali che l’Italia – unico paese del G7 - ha sottoscritto con Pechino. Accordi di cui si avvicina la data per decidere il rinnovo, ma che pesano negativamente su Roma a causa della posizione di Pechino sia come potenza in competizione con Washington che come interlocutore privilegiato della Russia.

I rapporti con la Cina

Il rinnovo del memorandum con la Cina – che avverrebbe in automatico in autunno - è un tema delicato per Meloni da diversi punti di vista. Sul fronte della politica estera, l’Italia è schiacciata tra due opposte spinte. Da un lato Pechino, che ha lanciato un avvertimento nei giorni scorsi attraverso il Global Times, tabloid vicino al partito comunista cinese, scrivendo che «Anche se non è chiaro se l'Italia sarà in grado di resistere alle pressioni o all'influenza degli Usa», l’augurio cinese è che Meloni «non si lasci trasportare dalla geopolitica», perchè seguendo gli Stati Uniti «danneggerà i propri interessi e metterà a rischio la propria autonomia nelle relazioni internazionali». Dall’altro lato ci sono appunto le pressioni di Washington, che vorrebbero stringere una linea unica sull’asse occidentale nelle relazioni con il colosso cinese. Nel mezzo, l’Italia rischia di essere il manzoniano vaso di coccio tra vasi di ferro.

Esiste poi anche un fronte interno al governo. L’accordo commerciale con la Cina è stato stretto durante il governo Conte 1 di cui faceva parte anche la Lega, e tra i principali artefici c’era l’economista vicino a Matteo Salvini e sottosegretario al Mise di quel governo Michele Geraci, che oggi vive e lavora in Cina.

Non è un mistero che Fratelli d’Italia abbia sempre considerato invece un errore sottoscrivere l’accordo e lo ha detto chiaramente il ministro della Difesa, Guido Crosetto, che in una intervista alla Stampa dei giorni scorsi ha spiegato che «non bisognava entrarci. Ora ci siamo dentro e questo rende più complicato uscirne».

Ecco dunque il problema per Meloni: la decisione di uscire dalla via della Seta è presa da mesi, il punto è come realizzarla senza compromettere i rapporti con la Cina. Non a caso ieri fonti diplomatiche hanno spiegato che l’Italia intende perseguire con Pechino un rapporto «equilibrato» e di «dialogo responsabile», perchè è diventata «interlocutore imprescindibile nelle relazioni internazionali».

Cosa vuole Meloni

L’Italia, infatti, non si può permettere strappi e palazzo Chigi dovrà valutare in modo attento i tempi e i modi con cui uscire dall’accordo. Washington, che di questa difficoltà è consapevole, punterebbe a ottenere garanzie sul passo indietro dell’Italia non dovrebbe pressare per velocizzare la rottura del memorandum. Tutto si gioca col lessico della diplomazia: dopo l’incontro con Biden ci sarà un punto stampa e Meloni non potrà sottrarsi alle domande.

In cambio, però, anche la premier arriva negli Stati Uniti con alcune richieste, in particolare con riguardo al cosiddetto “piano Mattei” per l’Africa, che consiste nell’offrire cooperazione per lo sviluppo economico in cambio di stabilità e sicurezza nel Mediterrneo. I paesi nordafricani da cui partono le migrazioni sono al centro dell’attenzione del governo Meloni e l’Italia ha posto il tema anche nel recente vertice Nato. Difficilmente sarà possibile ottenere aiuto americano per favorire l’accesso ai fondi del Fmi della Tunisia, ma palazzo Chigi punta a incassare quello che fonti diplomatiche hanno definito «un partenariato a tutto campo» e l’«interesse a rafforzare ulteriormente il partenariato nei numerosi settori di interesse reciproco». Del resto, Mediterraneo e Africa, migrazioni e sviluppo, saranno tra i temi portanti del G7 del 2024, a giuda italiana. Il cui successo dipenderà da quello di questi due giorni americani.

 

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