Joe Biden nel suo primo biennio da presidente è stato uno dei presidenti più progressisti della storia americana, con la grande ambizione di essere un nuovo Roosevelt che scuote il dogma neoliberista. Oggi un po’ meno, perché deve lavorare con una maggioranza repubblicana alla Camera.

Sulla scena mondiale però la linea politica, che si può definire molto sbrigativamente come “dottrina Biden”, è stata improntata al pragmatismo più assoluto: gli amici della Casa Bianca sono quelli che si allineano di volta in volta agli interessi degli Stati Uniti. Una sorta di America First quindi, senza l’aggressività e le uscite violente e improvvise del suo predecessore Donald Trump.

Per questo oggi il presidente americano riceverà cordialmente la premier italiana Giorgia Meloni, nonostante le evidenti distanze ideologiche. Nell’incontro le frequentazioni americane della presidente del Consiglio, ospitata diverse volte dal Conservative Political Action Committee (Cpac) in Florida con tutti gli onori insieme ai massimi esponenti trumpisti, conteranno molto poco. Per Washington conteranno molto di più il sostegno allo sforzo bellico dell’Ucraina, la vigilanza nei confronti dei flussi migratori del Mediterraneo provenienti dal nord Africa e la competizione economica nei confronti della Cina.

Guardando Varsavia

Un rapporto, quello tra Roma e Washington, che è molto simile a quello intrattenuto da Biden con la Polonia: anche in questo caso la radicale divergenza ideologica non è un ostacolo, data la comune ostilità nei confronti della Russia di Putin. Perché il presidente americano, che in patria viene descritto dagli avversari repubblicani come un pericoloso “radicale di sinistra”, ha scelto di superare queste distanze?

Sembra archiviato l’idealismo obamiano che tentava di restaurare i rapporti deteriorati con nemici storici come la Russia o l’Iran degli ayatollah. Ma anche l’interventismo umanitario clintoniano non fa più parte dell’orizzonte di Biden. Bisogna tornare molto indietro per trovare un presidente così simile a quello attuale e si tratta di Harry Truman.

Anche l’uomo che ha sganciato la bomba atomica aveva costruito una variopinta rete di alleanze. E se Truman ha creato la Nato, Biden l’ha rafforzata. L’attuale inquilino della Casa Bianca ha ottimi rapporti con il premier canadese Justin Trudeau, un liberale progressista, così come con il presidente del governo spagnolo Pedro Sánchez, allo stesso modo in cui Truman contava sul sostegno del laburista inglese Clement Attlee e del moderato Alcide De Gasperi in Italia, che praticavano politiche economiche e sociali radicalmente diverse.

Importanti, poi, sono le differenze rispetto a Trump. L’ex presidente Usa voleva creare una rete di satelliti tramite trattati bilaterali che mostrassero chiaramente chi comandava. Biden invece non vuole imporre nulla con la forza, semplicemente tessere una rete tra opposti orientamenti politici, in modo simile a ciò che accade al Congresso, quando cerca di conciliare le differenti posizioni dem con i moderati del Partito repubblicano.

Richard Nixon

C’è un’altra similitudine che ci aiuta a capire l’atteggiamento del presidente americano. Nel saggio Richard Nixon e i partiti politici italiani, scritto nel 2015 dallo storico Luigi Guarna, viene analizzato il rapporto tra il nostro paese e l’ex presidente. E, contrariamente al luogo comune secondo cui Nixon fosse un implacabile nemico dei partiti progressisti, le carte analizzate nel saggio mostrano come l’amministrazione di allora vedesse l’alleanza tra Democrazia cristiana e Partito socialista come un importante fattore di stabilità interna in grado di evitare scenari peggiori.

A parti politicamente invertite è ciò che avviene oggi. Il centrodestra a trazione meloniana evita che a palazzo Chigi possa esserci, ad esempio, un altro premier più distante dai desiderata di Washington. Magari con posizioni filorusse o filocinesi. L’interesse, quindi, tiene uniti questi due partner che dopo le elezioni di settembre apparivano così lontani e che invece hanno saputo trovare un’intesa nel nome del realismo bideniano.

Una ricetta che si serve di pochissima ideologia e che fa tesoro dei decenni passati dal presidente al Senato, dove era considerato come uno dei più abili tessitori politici. In fondo Biden lo aveva detto, con una delle sue famose gaffe, durante la campagna elettorale del 2020 quando aveva raccontato che nel 1973 sedeva nello stesso gruppo insieme con due noti segregazionisti del profondo sud, James Eastland del Mississippi e Herman Talmadge della Georgia, con i quali aveva un ottimo rapporto. Dichiarazione che allora aveva scatenato polemiche, ma che oggi rivela l’atteggiamento del presidente nelle relazioni internazionali. Si possono fare buoni affari con chiunque, al di là dei recinti ideologici.

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