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Essere solidali con Meloni e censurare le sue offese

LaPresse
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  • Selvaggia Lucarelli, che in un post su Facebook ha spiegato che non esprimerà alcuna solidarietà a Meloni, pur specificando che il linguaggio utilizzato da Gozzini le fa orrore. Perché le nega una manifestazione di solidarietà? Perché la leader di Fratelli d’Italia usa e promuove con metodo il ricorso a insulti ancora peggiori di quelli di cui è stata vittima.
  • Si potrebbe dire: non ha alcun diritto di essere offesa, avendo lei un dottorato in insulti politici. Questo è certamente un argomento molto popolare, specialmente all’asilo, dove infiniti battibecchi nascono intorno alla liceità morale di distribuire offese ai compagni che per primi offendono.
  • La civiltà degli adulti però ha fatto un lungo percorso dal principio di giustizia dell’”occhio per occhio” all’imperativo categorico che impone di trattare ogni persona come un fine, e lungo la strada c’è stata la regola aurea, il porgere l’altra guancia, il discorso della montagna, il perdono ai nemici e molte altre cose che permettono di distinguere i piani, accordando solidarietà anche a chi in maniera ipocrita si macchia della colpa che denuncia stracciandosi le vesti solo quando ne è vittima.

Nello stratificato dibattito sugli insulti a Giorgia Meloni da parte del professore universitario Giovanni Gozzini è spuntata anche una particolare forma di quello che gli anglosassoni chiamano whataboutism, un artificio retorico per aggirare il merito di una critica puntando il dito sull’ipocrisia di chi la muove. Nel secolo scorso la macchina della propaganda sovietica ha costruito una buona fetta della sua fortuna su questo espediente, che nella versione nazionalpopulista italiana è preci

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