Dopo la firma messa di malavoglia sulla tassa sugli extraprofitti delle banche che dovrebbe portare nelle casse statali circa 2,5 miliardi di euro, il ministro dell’Economia torna al ruolo che più gli si confà: quello del grillo parlante del governo, attento ai conti e votato al pragmatismo. Dal palco del meeting di Comunione e Liberazione a Rimini, dove è intervenuto in collegamento, Giorgetti ha detto chiaramente ciò che già tutti sapevano: la prossima manovra di Bilancio sarà «complicata» e «non si potrà fare tutto».

I numeri non mentono: mancano risorse per fare tutto ciò che le forze politiche di governo hanno promesso. Dunque bisognerà scegliere attentamente gli obiettivi: «Certamente dovremo intervenire a favore dei redditi medio bassi, ma dovremo anche usare le risorse a disposizione per promuovere la crescita», ha chiarito Giorgetti. Quindi ci sarà spazio per confermare il taglio del cuneo fiscale per i dipendenti e rendere strutturale il taglio delle accise, detassare i premi di produttività e conservare il bonus energia. Tutto il resto dovrà aspettare tempi più prosperi, comprese le iniziative di bandiera su cui negli ultimi mesi si sono affannati i partiti di maggioranza.

A partire da quello di Giorgetti, con il segretario leghista Matteo Salvini che a giugno parlava di un aumento delle pensioni. «Il tema della denatalità è fondamentale, non c'è nessuna riforma e misura previdenziale che tenga nel medio e nel lungo periodo con i numeri della denatalità che abbiamo oggi», ha messo le mani avanti il ministro. Con buona pace del fatto che a settembre si inizieranno a scaldare i motori in vista della campagna elettorale alle Europee e ogni forza politica avrà bisogno di poter rivendicare qualcosa dentro la manovra. Invece l’avvertimento del ministero dell’Economia dovrà servire da monito a tutti: le risorse sono scarse, inutile accampare pretese.

Altra stoccata è arrivata anche sul tema ambientale, che alcune voci critiche in maggioranza avevano declassato a questione secondaria e che la stessa Giorgia Meloni ha recentemente frenato dicendo che «la transizione ecologica non può smantellare le nostre imprese». Il ministro l’ha invece ha messa in relazione con la crescita economica: «Lo sviluppo sostenibile è oggi declinato sotto l'aspetto più ambientale, che è fondamentale», anche se con l’aggiunta che «se si affronta la questione a tutto tondo, non può negare che il sistema si tiene se le generazioni hanno una continuità e se c'è una solidarietà intergenerazionale».

Le risorse

Il problema, in ogni caso, rimangono le risorse disponibili. Secondo le ultime analisi, le aspettative sono di una manovra intorno ai 25 miliardi, ma per avere certezze in più bisognerà aspettare la nota di aggiornamento al Def di fine settembre, che quantificherà in modo preciso le risorse a disposizione e dunque chiarirà anche se sia ipotizzabile il ricorso a nuovo deficit. Anche su questo Giorgetti è stato cauto, ricordando che «nulla è gratis, quando si fa debito o deficit dobbiamo sempre pensare anche al discorso della sostenibilità».

Non è mancato poi un passaggio critico sull’Unione europea e in particolare sul patto di stabilità e crescita, che ha temporaneamente sospeso la clausola generale a causa della pandemia. «Non possiamo, in un momento in cui siamo ancora in una situazione eccezionale, tornare a delle regole che ignorano la necessità di accompagnare e aiutare famiglie e imprese nella trasformazione che stiamo vivendo», è la linea del governo illustrata da Giorgetti. Una posizione definita «negoziale», per cui «vogliamo che gli investimenti siano trattati in modo privilegiato rispetto alle spese correnti» e «noi saremo responsabili su conti, ma Ue non sia autolesionista».

Eppure, le parole devono aver prodotto qualche effetto a Bruxelles se immediatamente il Mef ha dovuto pubblicare una precisazione, specificando che il ministro non chiede una proroga della sospensione della clausola del Patto di stabilità, come si poteva ipotizzare dalle sue parole, ma «ha espresso l'auspicio che entro la fine dell'anno sia approvata la riforma del patto di stabilità in modo da poter entrare in vigore al posto delle vecchie regole dal 1 gennaio 24». Regole nuove, insomma, nella speranza che si attaglino meglio ai progetti del governo.

Sullo sfondo, tuttavia, rimane sempre l’incognita del Pnrr, di cui si attendono gli esiti della rinegoziazione con il definanziamento da 16 miliardi e il rischio che quegli stessi costi in una qualche misura ricadano sulle casse nazionali. «Non c’è semplicemente una responsabilità di fare in fretta ma è necessario fare bene», ha detto il ministro, avallando implicitamente la direzione del governo. L’intento politico di Giorgetti, tuttavia, è stato quello di mettere le mani avanti in vista di settembre: i cordoni della borsa sono stretti e tutti siano avvisati. 

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