Rinviare, improvvisare, polemizzare. E quando non ci sono altre opzioni? Allora tocca far finta di niente. Dopo ormai dieci mesi di attività, il governo è alle prese con margini economici ristretti, così deve adottare tutti i diversivi possibili, dedicandosi alla dilatazione dei tempi - con i dossier caldi che slittano a ottobre e novembre - o cercando soluzioni estemporanee. Un esempio è la tassazione sugli extraprofitti che ha richiesto ravvedimenti operosi nelle spiegazioni da parte del Mef di Giancarlo Giorgetti. Il decreto Omnibus è entrato in vigore, i suoi effetti restano un enigma.

Emilia paranoica

Così per Giorgia Meloni è necessario cercare, appena possibile, l’appiglio per la polemica, la costruzione di avversari veri o immaginari, che siano le opposizioni, gli amministratori locali, ma anche la stampa e la magistratura. Uno scontro programmato addirittura su temi sensibili, su tutti la ricostruzione post alluvione in Emilia-Romagna.

La premier Giorgia Meloni se l’è presa con il presidente della Regione, Stefano Bonaccini, reo di aver denunciato i ritardi nell’erogazione dei fondi necessari agli interventi sul territorio e al ristoro di imprese e famiglie. «Critiche ingiuste: il governo ha già stanziato 4 miliardi e mezzo di euro», ha replicato piccata.

Tutto vero, ma pesa un’abile omissione: i soldi devono ancora arrivare agli enti locali. «A oggi gli unici contributi arrivati ai cittadini sono quelli decisi da Regione e Protezione civile nazionale, mentre famiglie e imprese attendono gli indennizzi», ha replicato Bonaccini.

Tavoloni e passerelle

Sull’alluvione la premier elude pure la richiesta di incontri con gli amministratori locali, rinnovata dal sindaco di Ravenna, Michele De Pascale, che non vogliono una passerella. Servono impegni precisi: nessuna “strategia del tavolone”, come quella messa in atto sul salario minimo. Perché su questo punto, altrettanto caldo, il vertice di giovedì scorso è servito a consegnare alla stampa qualche fotografia e la sfilata per le dichiarazioni.

Non ha prodotto nulla di concreto, eccetto la controproposta di traccheggiare per un paio di mesi di tempo, affidando il dossier al Cnel, oggi guidato dall’ex ministro Renato Brunetta, che si ritrova d’un tratto in auge dopo anni di campagne politiche per chiederne l’abolizione. Dovrebbe istruire la pratica in piena estate. E pazienza se i due mesi, indicati al termine dell’incontro, sono già dimezzati dalla pausa agostana. Brunetta e i consiglieri del Cnel dovranno andare spediti a settembre e indicare una possibile mediazione sul salario minimo.

Anche se, in fondo, il Cnel si è già espresso: un mese fa ha depositato una memoria di 13 pagine alla Camera dopo l’audizione in commissione Lavoro. Al massimo si potrà approfondire quel documento, nulla di più. Servirà quantomeno a Meloni per rivendicare il dialogo. I sondaggi hanno messo alle strette Palazzo Chigi: la questione salariale è sentita nel Paese, la maggioranza non può buttarla sul “no pregiudiziale”.

Solo che il governo non ha proposte: l’aumento degli stipendi dei lavoratori non è all’ordine del giorno. La destra al potere preferisce accarezzare il sogno recondito della flat tax mentre tende la mano agli evasori fiscali. Tutto a misura di ricchi.

Mr. Prezzi inflazionato

Solo che il bagno nella complessità dei problemi reali porta a sbattere contro il nodo dei rincari che stanno divorando il potere d’acquisto. Le stime di luglio indicano un contrazione dello 0,3 per cento del Pil e un aumento della crescita del carrello della spesa del 10,4 per cento. Continuano le difficoltà alle famiglie, mentre il governo fa spallucce. In questo clima, la figura di Mr. Prezzi, incarnata oggi da Benedetto Mineo, resta un’entità astratta per i cittadini comuni. Mineo ha convocato i produttori, avviato dialoghi. I vertici non hanno prodotto le solite buone intenzioni per il futuro. E il periodo di vacanze per gli italiani resta un salasso. Una bocciatura per il garante sulla sorveglianza dei prezzi, che a 15 anni dalla sua istituzione è costata circa un milione e mezzo, solo per i compensi ai vari Mr. Prezzi che si sono susseguiti, da Antonio Lirosi a Mineo, senza lasciare traccia.

Per quanto si tratti di una divisione interna al ministero delle Imprese e del made in Italy (Mimit), prima Sviluppo economico (Mise), conta su un personale dedicato, a cominciare dal garante che è un dirigente di prima fascia del dicastero. Mineo ha una retribuzione di 114mila euro, almeno più bassa dei predecessori. Intanto da gennaio 2023 è diventato segretario generale del Mimit, coronando la cavalcata iniziata a inizio degli anni Duemila da capo gabinetto vicario del presidente della Regione Sicilia, Totò Cuffaro, che lo ha poi spinto al vertice della società Riscossione Sicilia, l’Equitalia dell’isola.

Dall’Udc alla Lega il passo ha richiesto un decennio. Nel 2018 è stato nominato direttore dell’Agenzie delle Dogane, con la benedizione di Giancarlo Giorgetti, che lo ha voluto come Mr. Prezzi quando era al Mise con il governo Draghi. Il successore Adolfo Urso lo ha confermato nonostante l’impalpabilità di una struttura potenziata più volte, di recente anche dall’esecutivo di Meloni. L’inflazione che galoppa è così la metafora di un governo inerte sul caro-benzina, ma che lascia l’economia senza carburante nel motore.

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