C’è l’ombra di Alfredo Mantovano dietro lo slittamento del ddl sul fine vita al 14 luglio. Sottosegretario alla presidenza con delega ai Servizi segreti, invisibile e avvedutissimo. Da mesi, raccontano fonti parlamentari, è lui a frenare ogni apertura, anche contro le volontà più dialoganti di Lega e Forza Italia. «È il dominus della partita», sussurrano a Palazzo Madama. E chi è ostaggio non tratta: obbedisce.

Nato a Lecce 67 anni fa, magistrato, già parlamentare e consigliere di Cassazione. Capo ombra del governo Meloni, braccio destro della premier, fondatore del centro Studi Livatino, cattolico e legato da sempre al mondo pro-vita: nel 2005 si allontanò da Fini ai tempi della svolta laica di An verso posizioni più progressiste (biotestamento, fecondazione assistita, etc). «Mantovano è la spina del fianco anche della Cei che su questi temi ha una visione più possibilista», lamenta un senatore leghista.

La conferenza dei capigruppo convocata a Palazzo Madama aveva, infatti, calendarizzato per la settimana dal 17 al 19 giugno l'approdo in aula del provvedimento, anche se i lavori in commissione non fossero stati conclusi. I lavori in commissione erano partiti dal ddl S.104, a prima firma Alfredo Bazoli (Pd), che riprende il testo sul fine vita approvato dalla Camera nel 2022: stabilisce i requisiti per accedere alla morte medicalmente assistita in presenza di sofferenze irreversibili e trattamenti vitali, in linea con le richieste della Corte Costituzionale. Tuttavia, il testo non era stato completato dal comitato ristretto del Senato che si era fermato a marzo dopo solo due articoli abbozzati. Pausa. Poi il silenzio causa di “contingenze” non specificate.

Adesso in quella che sembra un’apparente ripresa, la discussione viene rimandata su proposta del capogruppo di Forza Italia, Maurizio Gasparri, con l’avallo dei partiti di governo. Il motivo? La necessità, dicono, di “trovare un testo comune”. 

Trattativa in salita

Il comitato si riunirà di nuovo domani alle 11, per lavorare su un testo che la maggioranza promette, ma che non ha ancora mostrato all’opposizione. Verrà presentato dal senatore Zanettin, relatore per Forza Italia, ma anche lui sembra brancolare nel buio. Le voci di corridoio parlano di un compromesso al ribasso, «striminzito», qualcosa che difficilmente passerà il vaglio della Corte costituzionale. Il comitato ristretto del Senato sul fine vita è composto da 18 senatori delle Commissioni Giustizia e Affari Sociali, con rappresentanti di tutte le principali forze politiche. I relatori sono Pierantonio Zanettin (Forza Italia) per la Giustizia e Ignazio Zullo (Fratelli d’Italia) per la Sanità presenteranno ai 18 senatori delle Commissioni Giustizia e Affari Sociali la nuova proposta. Tra i componenti figurano nomi come Sandra Zampa (PD), Ilaria Cucchi (Misto), Anna Bilotti (M5S), Ivan Scalfarotto (Italia Viva), Francesco Zaffini (FdI), Alfredo Bazoli (PD), Erika Stefani (Lega) e altri. Il clima resta complesso. «Vedremo cosa proporrà la maggioranza», si sente dire dall’opposizione.

Vada come vada, assicurano, a luglio il ddl “dovrà” arriverà in Aula per la discussione. E lì si deciderà tutto. Nessun ulteriore rinvio. O si approva, o si affossa. In tanti – anche nella maggioranza – cominciano a scommettere sul voto segreto. Perché solo dietro il paravento dell’anonimato parlamentare sarà forse possibile correggere una linea imposta da pochi, ma subita da molti.

La rete dei Pro Vita

Il sottosegretario Mantovano, curiale e felpato, intanto osserva. E intorno a lui si muove la rete degli ultraconservatori: Pro Vita & Famiglia, ha prima celebrato il rinvio del ddl a luglio aggiungendo: «Qualsiasi proposta, anche la più “moderata” o frutto di mediazione, sarebbe di per se stessa un incentivo al suicidio». Poi Toni Brandi, presidente della Onlus legata a doppio filo con Forza Nuova, si è auto-intervistato per la sua associazione con lo scopo di “smontare le bufale” sul fine vita. Il 7 maggio aveva già consegnato agli uffici competenti le oltre 31.000 firme raccolte con una petizione popolare rivolta al Governo affinché procedesse con urgenza con l’impugnazione della legge della regione Toscana. Ordine eseguito. Tre giorni dopo, il governo faceva ricorso.

A dar manforte anche le pubblicazioni, innumerevoli, del Centro Studi Livatino, di cui Mantovano resta co-fondatore pur avendo lasciato la vicepresidenza dopo l’entrata al governo. In un recente articolo pubblicato il 14 marzo il centro studi esprime su tutte le proposte di legge sul fine vita posizioni rigidamente contrarie a ogni forma di eutanasia o suicidio assistito, in linea con una visione del diritto ancorata alla legge naturale.

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