Matteo Renzi per smontare le accuse dei pm di Firenze che lo hanno indagato per finanziamento illecito è pronto a riscrivere la storia politica che lo riguarda. Almeno così sembra leggendo la memoria depositata questa mattina dall’ex premier presso la procura fiorentina, dove si è recato senza farsi interrogare. 

Il leader di Italia viva si è presentato davanti ai pubblici ministeri titolari dell’inchiesta sulla fondazione Open, Luca Turco e Antonino Nastasi, accompagnato dai suoi legali, gli avvocati Federico Bagattini e Giandomenico Caiazza. Presente anche il procuratore capo Giuseppe Creazzo.

Renzi, oltre a chiedere correzioni sulle date e i ruoli ricoperti nel tempo dagli ex ministri Luca Lotti e Maria Elena Boschi all’interno del Partito democratico, ha fornito il suo punto di vista sulla vicenda.

Anzitutto ha contestato l’ipotesi di aver mai ricoperto il ruolo di «direttore di fatto» della fondazione, ma leggendo il documento consegnato ai magistrati a spiccare sono soprattutto i passaggi più “politici”.

Per l’ex premier la corrente renziana individuata dai magistrati come beneficiaria dei soldi raccolti dalla fondazione non esiste. Allo stesso modo i comitati per il sì al referendum costituzionale, costituiti dopo il via libera alla riforma approvata dal governo Renzi, non avevano nulla di politico. 

Infine un riferimento alla decisione della giunta per le Immunità del Senato che ieri ha approvato a larga maggioranza la proposta della relatrice, Fiammetta Modena, per chiedere all’Aula di sollevare conflitto di attribuzione presso la Corte costituzionale sull’acquisizione di alcuni suoi messaggi WhatsApp.

Non c’è ancora una decisione definitiva ma Renzi, di fronte al parziale giudizio del Senato, ha ribadito che la «legge fondamentale», cioè la Costituzione, non è stata rispettata.

Il Comitato basta un sì

L’inchiesta ha accertato che il comitato “Basta un sì” abbia ricevuto donazioni dalla fondazione Open. Ma questo per Renzi non si traduce in un finanziamento illecito: «Definire il finanziamento alla campagna referendaria come iniziativa di una singola corrente, di un singolo partito significa ignorare la portata storica di una riforma che aveva superato ben sei letture parlamentari».

Quindi, obietta, non si potevano inquadrare «le contribuzioni effettuate dalla fondazione Open al Comitato “Basta un sì” come finanziamento illecito al politico Matteo Renzi».

Secondo le carte della procura tuttavia l’intreccio tra politica, affari e referendum esiste. Il tesoriere del comitato, Lorenzo Anichini, è entrato nel collegio sindacale della British american tobacco, società che ha donato a Open poco più di 253mila euro in totale negli anni 2014, 2015 e 2017 e affidato due incarichi di consulenza direttamente allo studio legale del presidente della fondazione, Alberto Bianchi. 

I renziani

Renzi ha chiesto di togliere dal fascicolo qualsiasi riferimento «all’asserito finanziamento illecito per le iniziative della Leopolda». Per la corte di Cassazione, ricorda, è «dato storico, ampiamente documentato» il fatto che gli eventi della Leopolda fossero «incontri a carattere eminentemente politico, con programmazione di numerosi laboratori, eventi di discussione, occasioni di partecipazione della società civile, diretti a stimolare il confronto su temi oggetto delle attività espressamente previste dallo statuto della fondazione, senza peraltro alcun collegamento con le attività del Partito democratico».

Guai poi a parlare di “renziani”: «L’assoluta inesistenza della c.d. “corrente renziana”, determina il venir meno delle premesse fattuali, logiche e giuridiche che sostengono la imputazione provvisoria a carico del nostro assistito».

La prova, spiega è che «sarebbe a tal fine sufficiente la condivisione di comuni idee e programmi politici da parte di più parlamentari», ma Renzi chiede di darne prova storica puntuale.

Infine ricorda che «Paolo Gentiloni e Lorenzo Guerini, che a seguire la stravagante ipotesi accusatoria dovrebbero ritenersi, per la ripetuta convergenza di opinioni e iniziative politiche con il senatore Renzi, esponenti di vertice della presunta “corrente renziana”», «non hanno mai versato alcunché». In generale «molte altre fondazioni sono state nel tempo – e ancora oggi – destinatarie di contribuzioni da parte di parlamentari o esponenti politici, senza che questo abbia mai autorizzato a ritenere che ciò rappresentasse atto di adesione ad una “corrente” di partito».

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