Fratelli d’Italia veleggia sempre altissimo nei sondaggi, occhieggiando il 30 per cento alle europee spinto dal carisma della leader Giorgia Meloni. Se la punta dell’iceberg si gode l’indiscussa leadership anche rispetto agli alleati di centrodestra, sotto il pelo dell’acqua si agitano scontri fratricidi e faide locali.

Da molte sezioni periferiche sta emergendo il malcontento rispetto alla gestione della struttura partito, oggi in mano alla sorella della premier, Arianna, che è capo della segreteria politica e responsabile del tesseramento, e al deputato Giovanni Donzelli, che è responsabile dell’organizzazione.

Le bocche dei dirigenti, soprattutto a livello nazionale, rimangono cucite e nessuno è disposto a riconoscere in chiaro che effettivamente qualcosa non stia girando per il verso giusto. Eppure, dai territori emergono fatti che raccontano di un partito che forse è cresciuto troppo in fretta dal 4 per cento all’exploit delle politiche del 2022. E sta creando piccoli ras locali in contrapposizione l’uno con l’altro e a caccia di tessere, difesi o spalleggiati da altrettanti big nazionali in cerca di espandere la loro influenza in bacini elettorali.

Il primo sintomo oggettivo di questo malessere interno sempre più forte sono i congressi locali, dove sono scoppiati problemi con il tesseramento che hanno prodotto rinvii in molti territori.

La linea ufficiale fatta veicolare da via della Scrofa è stata quella di «congressi possibilmente con un solo candidato, per dare segno di unità», spiega un esponente locale in rotta con la linea ufficiale.

L’obiettivo è quello di mostrare un partito granitico, tanto che il più contestato tra gli articoli del codice etico di FdI, per le cui violazioni si finisce davanti ai probiviri, è il 4: vietato esprimere pubblicamente una linea diversa rispetto a quella dei vertici, il dissenso si può esprimere solo dentro gli organi di partito. Dietro questo velo, però, si stanno consumando vendette e formando leadership contrapposte sulla pelle degli iscritti locali.

Il Triveneto

Domani ha raccontato in questi giorni lo scontro che si sta consumando per la leadership in Trentino, dove la deputata Alessia Ambrosi (l’unica donna in tutta Italia candidata a un congresso locale) è stata esclusa nella corsa alla presidenza di FdI Trentino dai probiviri, che l’hanno sospesa per 15 giorni.

Gli iscritti – che la sostenevano in maggioranza rispetto al candidato espressione del commissario e deputato Alessandro Urzì – hanno tentato di far slittare il congresso per permetterle di correre, ma sono stati redarguiti direttamente da Donzelli.

Risultato: il congresso sarà plebiscitario, ma a costo di un partito lacerato e nel caos. Il Trentino come il Veneto sono i territori in cui si sta misurando la contrapposizione nazionale tra i ministri Adolfo Urso (che appoggiava Ambrosi) e Francesco Lollobrigida.

Se Urso ha metaforicamente perso il Trentino, ha conquistato il congresso in Veneto con la vittoria di Elena Donazzan, storica consigliera regionale di FdI che a lui fa riferimento. Lei sta scaldando i motori in vista di una potenziale successione a Luca Zaia, forte del suo grande radicamento.

A reclamare pubblicamente la candidatura, però, è anche il deputato Marco De Carlo, che sui quotidiani parla già da presidente in pectore forte del sostegno di Lollobrigida.

Tra i due Donazzan è convinta di vincere sui numeri, ma la scelta del candidato, soprattutto in una regione così importante, sarà certamente appannaggio dei vertici romani e il caso Trentino insegna che la volontà dei territori non è determinante.

L’Emilia-Romagna

Anche nella terra guidata da Stefano Bonaccini, la contrapposizione interna è forte: il vero regista è il fidatissimo capogruppo alla Camera Tommaso Foti, espressione istituzionale del partito e molto sostenuto dall’area emiliana.

Si sta però sempre più facendo largo la figura del sottosegretario Galeazzo Bignami, ancora perseguitato dalla foto in uniforme da nazista: viene dalla destra estrema ma è passato da Forza Italia e lo zoccolo duro locale del partito non gli riconosce l’autorità per esercitare – come sta facendo – il ruolo di plenipotenziario in regione.

Tanto che il suo pugno duro sulla scelta del candidato alle comunali di Molinella, piccolo comune alle porte di Bologna, ha provocato la fuoriuscita del segretario locale Giuseppe Pastore e in blocco di tutti i 50 militanti, che costituiranno una loro lista civica.

«Sono profondamente deluso e offeso dalle scelte effettuate da una classe dirigente provinciale e regionale, distratta e poco conoscitrice del territorio e delle sue problematiche, ma attenta alle consultazioni europee e regionali, la quale impone scelte non condivise dalla base», ha detto Pastore.

La Campania

Come già successo ad Avellino e per la provincia di Napoli, anche nel capoluogo il clima è burrascoso, tanto che il congresso cittadino sarà una battaglia all’ultimo voto. I due competitor in gara sono Marco Nonno, potente ex consigliere regionale entrato a gamba tesa nella competizione e considerato un ras delle preferenze, e Diego Militerni, che fa riferimento al gruppo del deputato Edmondo Cirielli.

La probabile vittoria di Nonno porterebbe il partito su posizioni decisamente estreme rispetto all’approccio più moderato degli ultimi mesi e non c’è aria di pacificazione interna. Anzi, lo scontro si sta trascinando già da mesi e ha portato a rimandare di settimana in settimana il congresso, fino a questo fine settimana.

Sullo sfondo, intanto, rimane anche il congresso forse più importante: quello della città di Roma, dove si scontrano le due anime storiche, i Gabbiani di Fabio Rampelli da una parte e il cerchio magico di Meloni con Lollobrigida dall’altro.

Anche qui la data è stata rinviata più volte fino alla prossima settimana, con guai sul tesseramento e dubbi sul regolamento. Il segno di un partito diventato troppo grande troppo in fretta, con molte ambizioni che cozzano dall’unanimismo gradito alla leader.

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