Una quiete apparente prima dell’interrogatorio, previsto per oggi, del presidente della regione Liguria, Giovanni Toti, agli arresti domiciliari da martedì scorso. L’ex giornalista Mediaset si avvarrà della facoltà di non rispondere. Prima vuole leggere gli atti. Le valutazioni politiche «non possono prescindere da un confronto che potrà essere fatto con condizioni diverse dalle attuali, con tutte le persone che con lui hanno lavorato e con tutti i partiti che fanno parte della sua maggioranza», ha spiegato il suo legale, Stefano Savi. In un video ha ribadito la sostanziale «serenità» del suo assistito. «Nessuna anomalia nelle spese», è la posizione.

Ma il clima politico non è affatto sereno. Prevale un nervosismo strisciante nel centrodestra, dove si teme un allungamento dei tempi della vicenda, in particolare all’interno di Forza Italia. Il coinvolgimento dei due fratelli Testa, vicini al coordinatore lombardo, Alessandro Sorte, ha infastidito Antonio Tajani. Non il miglior viatico in vista di una campagna elettorale.

Valutazioni in corso

Così da palazzo Chigi ai corridoi del parlamento vengono passati ai raggi X i possibili impatti elettorali dello scandalo di Genova. Giorgia Meloni, insieme ai suoi più stretti collaboratori, valuta come gestire la vicenda, oscillando tra garantismo di facciata e moral suasion affinché il presidente ligure rassegni le dimissioni.

La premier incarna con precisione la linea attendista: per giorni non ha proferito parola sul caso, affidando le reazioni ai colonnelli. A metterci la faccia è stato il ministro della Difesa, Guido Crosetto. «Quando vedo queste cose a un mese dalle elezioni qualche dubbio mi viene», ha detto.

Ma alla Camera, nonostante il calendario senza lavori d’aula, ci sono stati vari confronti all’interno di Fratelli d’Italia. Il partito non è intenzionato a saltare al collo di Toti. C’è una questione di opportunità e di equilibri da rispettare. Dentro FdI, comunque, il limite massimo di attesa è un mese. Senza svolte positive per Toti, dopo le elezioni si attende il suo passo indietro: l’ultimatum ufficiale non è stato lanciato, al momento rimbalza come ipotesi. E come una voce da far arrivare fino a Genova.

L’auspicio è che arrivi molto presto la decisione di dimettersi da parte dell’ex braccio destro di Silvio Berlusconi. «Toti dovrà scegliere tra l’ambizione di conservare l’incarico e la possibilità di difendersi al meglio», è uno dei ragionamenti che circola dentro il partito di Meloni. Il sottotesto è facilmente leggibile: firmando le dimissioni, il presidente della regione Liguria avrebbe maggiore margine d’azione in sede giudiziaria. Togliendo un peso all’intera coalizione. Nella strategia attendista rientra la dichiarazione di Massimo Nicolò, ex vicesindaco di Genova, indicato come papabile candidato di FdI in caso di elezioni anticipate. «Questo è fantagiornalismo, il mio nome è stato tirato in ballo a caso», ha detto all’agenzia AdnKronos. Di sicuro la linea impartita da Palazzo Chigi resta quella di contrastare gli attacchi delle opposizioni. A ogni affondo su Toti deve corrispondere una reazione ricordando il caso in Puglia.

La Lega, direttamente attraverso il suo leader Matteo Salvini, ha assunto una posizione garantista, criticando la tempistica dell’arresto. Il calcolo è anche politico: il reggente in Liguria è il leghista Alessandro Piana, finora vice di Toti. E soprattutto un ritorno al voto sarebbe un’incognita e sicuramente aumenterebbe il peso dei meloniani. Solo che i leghisti non ci stanno a restare con il cerino in mano. «Sembra che noi siamo gli unici a difendere Toti, ma anche Fratelli d’Italia ha la nostra stessa posizione», ragionano nell’inner circle di Salvini.

Tensione forzista

Mentre Lega e FdI osservano dall’esterno la vicenda, Forza Italia teme una ripercussione diretta. Tajani è «molto preoccupato e infastidito», raccontano a Domani alcuni deputati forzisti, perché il partito viene lambito. Sorte è un dirigente di primo piano, scelto per il rafforzamento del partito in Lombardia, e non sta convincendo nella gestione del caso.

L’intervista alla Stampa è stata presa con disappunto, non c’è stata una presa di distanza perentoria dai fratelli Testa (subito sospesi), descrivendoli come due abili acchiappavoti. Qualcuno ha ricordato come lo stesso Sorte – nella scorsa legislatura – avesse lasciato il gruppo di Forza Italia alla Camera proprio per tentare fortuna con Cambiamo!, il movimento lanciato da Toti. Tajani non è intenzionato a fare mosse azzardate, l’obiettivo è di muoversi sottotraccia, dando il meno possibile nell’occhio. Facendo professione di iper garantismo: in ogni dichiarazione deve prevalere questo approccio, fondamentale per il partito fondato da Berlusconi che ha costruito la sua narrazione mediatica sulla «persecuzione della magistratura».

Il tutto nella speranza che la marea non cresca, finendo per cadere sul partito con maggiore forza. Perché oggi non c’è più Berlusconi a ribaltare la narrazione in ottica vittimistica. Un redde rationem potrebbe arrivare dopo le elezioni europee per rifare un tagliando all’organizzazione in alcuni territori.

Il crollo del sistema Toti, comunque, ha rovinato l’aria di positività che si respirava tra i forzisti. Il presidente ligure resta una figura associata a FI, il giornalista di Mediaset fotografato al fianco di Berlusconi, che per un periodo ha pensato di renderlo il suo delfino. Almeno fino alla rottura.

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