I giudici onorari in Italia sono 5000 – divisi tra giudici di pace, giudici onorari di tribunale (got) e vice procuratori onorari (vpo) – e gestiscono il 60 per cento del contenzioso civile e penale. Nonostante il covid, nessuna norma degli ultimi Dpcm li riguarda, nè dal punto di vista dell’organizzazione del lavoro, nè da quello delle tutele.

Il ministero della Giustizia, infatti, si è speso in questi mesi per informatizzare il processo sia civile che penale, dotando cancellerie e magistrati di strutture e strumenti informatici che consentano lo svolgimento del processo da remoto, in modo da evitare il blocco del sistema giustizia davanti alla pandemia.

L’operazione è ancora oggetto di dibattito tra magistrati e avvocati e le dotazioni non hanno ancora messo la macchina in condizione di funzionare a regime, ma i passi avanti sono stati evidenti. E’ di ieri, infatti, la notizia della possibilità per gli avvocati di depositare gli atti telematicamente e l’accesso da remoto ai registri per i cancellieri.

Dalla cosiddetta “informatizzazione”, invece, l’ufficio del giudice di pace è stato di fatto escluso, nonostante dal 2017 siano a disposizione 10 milioni di fondi del Programma operativo nazionale (Pon), per digitalizzare il processo davanti ai giudici onorari.

Rinvii su rinvii

Il risultato è che le udienze davanti al giudice di pace stanno subendo enormi rallentamenti, ingolfando una macchina già in affanno. Il ministero ha messo a disposizione dei giudici di pace solo la licenza per l’applicazione Teams, il software con cui svolgere l’udienza da remoto, ma – al contrario dei giudici togati – manca la cosiddetta “postazione informatica”, che permette ogni giudice di avere una firma digitale e un sistema informatico protetto a cui le parti possono inviare gli atti in modo da formare il fascicolo digitale del processo.

«Invece che un indirizzo del giudice, esiste un’unica casella di posta certificata con valore legale per tutto ufficio per inviare gli atti dei procedimenti, che poi vanno smistati dal personale di cancelleria», dice Mariaflora De Giovanni, presidente dell’Unione giudici di pace.

«Questo fa si che tutto sia demandato alla buona volontà di giudici e personale amministrativo, che però in moltissimi uffici è carente. In mancanza di questo servizio per la ricezione degli atti, tanti uffici non hanno potuto celebrare le udienze da remoto», e questo ha prodotto inevitabilmente rinvii su rinvii. Molti giudici, inoltre, non hanno nemmeno a disposizione un pc del ministero, ma devono utilizzare il proprio portatile personale.

Alcuni uffici hanno continuato a celebrare le udienze in presenza, contingentandone i numeri, ma solo nelle poche sedi con aule adeguate. «Così si producono solo disparità per i cittadini che chiedono giustizia – dice de Giovanni - eppure il giudice di pace rientra nella giurisdizione ordinaria, non giustizia di serie B».

Lavoratori a cottimo

La pandemia ha solo aggravato i problemi dei giudici onorari. «Siamo lavoratori a cottimo, senza garanzie e diritti: non abbiamo malattia, maternità o ferie», dice Cristina Piazza, segretario generale dell’Unione nazionale giudici di pace, «Se andiamo in quarantena o ci ammaliamo veniamo privati di ogni guadagno e non abbiamo alcuna tutela».

Durante il primo lockdown, è stata riconosciuta per due mesi una indennità di 600 euro come le partite iva, ma nulla più. Eppure, nonostante non siano considerati dipendenti pubblici, ai giudici di pace è affidata una mole di contenzioso sia civile che penale che li rende a tutti gli effetti ingranaggi indispensabili per la giustizia.

Pagati, però, 35 euro a udienza, 56 euro a sentenza e 10 euro a decreto emesso. «Lavoriamo come possiamo altrimenti non veniamo pagati, nonostante i rischi del Covid», dice Piazza.

La carenza di tutele è drammatica: da qualche giorno, infatti, i giudici onorari di tribunale di Palermo hanno iniziato uno sciopero della fame a sostegno di due colleghi che si sono ammalati di coronavirus. «Se non si torna in servizio entro 6 mesi si decade e ogni quattro anni bisogna ottenere il rinnovo dell’incarico, che viene dato solo se si dimostra di avere prodotto un numero sufficiente di sentenze», spiega Piazza.

La situazione si trascina da anni e ieri è stata discussa anche in commissione per le petizioni del Parlamento europeo, che ha annunciato una lettera al ministero della Giustizia italiano perchè garantisca «lo status dei magistrati onorari quali lavoratori legati da un rapporto di dipendenza con il ministero della giustizia» e «giusta retribuzione», in forza della sentenza europea “Ux” che li riconosce. 

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