Qualche settimana fa, in gran segreto, la Guardia di Finanza su ordine della procura di Roma ha bussato a casa di Giuseppe Conte. E ha chiesto all’ex presidente del Consiglio l’acquisizione di fatture e documenti delle consulenze d’oro (circa 3-400mila euro, non tutti pagati) che lui ha svolto per alcune società di Francesco Bellavista Caltagirone, ex patron del gruppo Acqua Marcia.

I militari hanno rintracciato il capo del movimento Cinque Stelle nell’appartamento-studio di via della Fontanella Borghese dove vive con la compagna Olivia Paladino, e poi sono andati dal mentore di Conte, l’avvocato Guido Alpa, che da Caltagirone ha ottenuto incarichi da quasi mezzo milione per lavorare alla ristrutturazione del debito del gruppo. La Guardia di Finanza – risulta a Domani da fonti interne degli studi legali – ha infine svolto acquisizioni simili anche dagli avvocati Enrico Caratozzolo e Giuseppina Ivone, che hanno lavorato insieme ad Alpa e Conte al concordato preventivo di Acqua Marcia.

L’indagine

Il nuovo fascicolo d’indagine è a modello 44 (ad oggi, dunque, senza indagati) ed è planato da poco sulla scrivania della magistrata romana Maria Sabina Calabretta. La pm ha ereditato la pratica dai colleghi di Perugia che indagano da mesi sulle dichiarazioni dell’imprenditore Piero Amara. Come scoprì Domani ad aprile dello scorso anno, infatti, l’uomo al centro della scandalo della presunta Loggia Ungheria e oggi in carcere per aver corrotto giudici in giro per l’Italia nel dicembre del 2019 aveva detto ai magistrati milanesi di aver “raccomandato” alcuni avvocati a Fabrizio Centofanti, al tempo potente capo delle relazioni istituzionali del gruppo Acqua Marcia. Secondo Amara le nomine erano condizione fondamentale «per riuscire a ottenere l’omologazione del concordato stesso» dai giudici del Tribunale di Roma. Conte (come gli altri interessati) negò subito raccomandazioni di sorta ipotizzando denunce per calunnia.

L’inchiesta da Milano era stata trasferita per competenza alla procura umbra proprio perché le dichiarazioni lasciavano intendere che qualche giudice della Capitale avesse commesso illeciti. Adesso è arrivata a Piazzale Clodio perché nessun magistrato romano è stato identificato dagli uomini di Raffaele Cantone, che però non hanno voluto archiviare la pratica. Calabretta – che investiga su Acqua Marcia anche in merito a un altro filone in cui si ipotizza una bancarotta fraudolenta da centinaia di milioni di euro – dovrà ora verificare se c'è qualcosa di penalmente rilevante oppure se le consulenze dei quattro avvocati si sono svolte correttamente, come sostengono i legali.

Soldi e fatture

A Domani risulta che Alpa abbia fatturato alle società di Bellavista Caltagirone una cifra vicina ai 400 mila euro, ma di queste ne sarebbero state incassate effettivamente poco più di centomila. Meglio è andato a Caratozzolo: gli incarichi ottenuti superano il milione, di cui circa 500mila già pagati. Ivone, avvocato cassazionista che ha avviato uno studio con Fabrizio Di Marzio (condirettore insieme a Conte della rivista giuridica Giustiziacivile.com) ha ricevuto contratti per oltre due milioni di euro, di cui 1,2 milioni di euro già saldati.

Secondo altre fonti vicine all’inchiesta Conte avrebbe ottenuto tra il 2012 e il 2013 conferimenti d’incarico per un valore totale di circa 400mila euro. L’ex premier senza specificare la cifra precisa disse a Domani che comunque i suoi guadagni «erano stati incassati solo in parte». Una lettera firmata da Centofanti e dal figlio di Bellavista Caltagirone, Camillo, evidenziava certamente che Conte, per fare una «ricognizione dei rapporti giuridici» di una società controllata (la Acquamare, nel cui cda siedeva lo stesso Amara) avrebbe ottenuto «un compenso pari a 150 mila euro, oltre accessori di legge come iva e cpa».

Pregiudicati

Non sappiamo se i finanzieri abbiano chiesto al numero uno dei grillini anche le fatture relative a un altro business dell’avvocato del popolo. Parliamo delle consulenze ricevute dal gruppo pugliese di Leonardo Marseglia. Un imprenditore che nel 2015 riesce a comprarsi a un prezzo stracciato uno degli alberghi di maggior pregio del gruppo Caltagirone: il Gran Hotel Molino Stucky di Venezia. L’acquisto è stato fatto attraverso una complicata operazione finanziaria, che Marseglia ha realizzato grazie all'aiuto decisivo di due consulenti. Il solito Conte, che aveva lavorato poco tempo prima per la controparte e conosceva bene i documenti del concordato, e l’architetto pugliese Arcangelo Taddeo, che era stato voluto da Marseglia nonostante fosse stato da poco condannato in primo grado a 17 anni di carcere per bancarotta fraudolenta e associazione a delinquere, pena poi confermata (ma ridotta a sette anni) in Cassazione.

Come mai Conte, capo politico di un movimento che ha fatto della guerra ai conflitti di interesse un mantra, ha accettato di lavorare all’acquisizione del Molino Stucky nonostante avesse lavorato già per Caltagirone? E perché ha chiuso un occhio sul fatto che avrebbe lavorato braccio a braccio con un tecnico comunale condannato da poco a 17 anni di galera? «Non vedo nessun conflitto di interessi per quel che mi riguarda: trattasi infatti di epoche diverse, l’incarico per Marseglia risale a due anni dopo», aveva detto Conte a Domani, per poi aggiungere: «Taddeo? Secondo voi dovevo per principio evitare l’operazione Molino Stucky perché c’era un condannato per bancarotta?».

 

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