Lo farà sapere domani, l’antivigilia dell’Assemblea che lo dovrebbe eleggere. Enrico Letta ha spiegato, via Twitter, che si sarebbe preso 48 ore per decidere se accettare la proposta di fare il segretario del Pd, proposta arrivata all’improvviso da un gruppo dirigente bordeggiante la disperazione dopo l’altrettanto improvviso abbandono del segretario Nicola Zingaretti. Arriverà venerdì, dunque, la sua risposta. Ma per il Pd è come se avesse già detto sì. Anche perché le parole che usa l’ex premier per parlare della richiesta che lo ha preso «alla sprovvista» sono molto “calde”: «Sono grato per la quantità di messaggi di incoraggiamento che sto ricevendo. Ho il Pd nel cuore e queste sollecitazioni toccano le corde più profonde». «Cuore», «corde più profonde».

Intanto, in questi due giorni, il Pd si adopera per complicare la situazione già bombardata dall’addio di Zingaretti. Il diluvio delle dichiarazioni favorevoli di parlamentari e dirigenti, dalla Sicilia a Milano, arriva. Eppure tanto entusiasmo non deve confondere. Base riformista, la minoranza ex renziana di Lorenzo Guerini e Luca Lotti, è disponibile a votare Letta in Assemblea, ma chiede che lui prenda un impegno per fare il congresso anticipato. Per Alessia Morani – mancata vicesegretaria del Pd, i suoi la proponevano – il congresso dovrebbe farsi addirittura «in autunno». È una richiesta poco realistica: in autunno ci sono, pandemia permettendo, le amministrative. E se la pandemia non permette, non ci sono neanche quelle. Fa uno sforzo di verosimiglianza invece Andrea Marcucci, presidente dei senatori: Letta «sarebbe un candidato autorevole» e tuttavia, dice, il congresso si deve fare «dopo le amministrative». Insomma il nuovo segretario, che in teoria scade nel 2023, dovrebbe essere a tempo.

A sparigliare in quest’area arriva però Stefano Bonaccini, presidente dell’Emilia-Romagna, candidato in pectore al famoso congresso, nonché l’uomo che ha affondato i colpi più pesanti alla linea di Zingaretti: «Letta è una personalità autorevole e adeguata. Apriamo insieme una nuova fase costituente». È una deposizione delle armi. Almeno per il momento.

A lavorare per un sì unanime nell’Assemblea di domenica è il ministro Dario Franceschini, il principale ufficiale di collegamento con Parigi, dove lavora Letta, insieme al commissario europeo Paolo Gentiloni. Anche se ieri erano in programma le telefonate, fra gli altri, con Goffredo Bettini e Andrea Orlando. Il voto all’unanimità non è una «condizione» che ha messo Letta per la sua elezione. Anche perché nella sua vita politica ha già fatto le spese di quanto l’unanimità del Pd possa essere volatile, se non proprio segno di malaugurio.

A sinistra

L’area di Zingaretti e quella di Andrea Orlando cercano di segnare a sinistra la prossima segreteria. In due modi diversi. «Letta non solo ce la farà, ma avrà l’unanimità. Base riformista ha già portato un segretario alle dimissioni e già questo non è piaciuto ai militanti, se si mettono contro Letta le critiche nei loro confronti saranno sempre più numerose. Se vanno in giro per i circoli se ne accorgono», dice un deputato vicino all’ex segretario. «Vogliono il congresso? Si deve fare e si farà. Ma sarà tematico, con primarie a scadenza e Letta segretario fino al 2023».

Il ministro del Lavoro punta invece a segnare un punto sul programma e sul profilo del prossimo Pd: «In tutto il mondo la sinistra discute e agisce per superare la terza via. Si riflette sul ruolo dello stato e sull’importanza delle politiche pubbliche dopo la pandemia, di come promuovere la transizione ecologica orientando il mercato e usando la leva delle politiche formative, il fisco, gli investimenti pubblici. Le prime mosse di Biden vanno in questa direzione peraltro. Se però proponi di discutere di questo in Italia vuoi “rifare i Ds”». È il sospetto, tutto strumentale, agitato da parte degli ex renziani, che non ha consentito a Orlando di raccogliere la segreteria abbandonata da Zingaretti. Da questa parte è chiaro il rischio dell’unanimismo: costringerebbe il nuovo segretario a una continua mediazione sulla linea politica con tutti, ex renziani compresi.

Il clima unanime potrebbe comunque essere incrinato anche dalla candidatura di una donna. Ieri alcune parlamentari raccoglievano le firme intorno a un documento da presentare stasera alla conferenza delle donne Pd: fra i nomi Debora Serracchiani, Anna Finocchiaro e Roberta Pinotti. La proposta arriva dall’area Base riformista, quindi difficilmente troverà l’accordo delle donne vicine alla maggioranza. Ma potrebbe raccogliere anche i voti dei molti malpancisti, poco entusiasti di quello che ormai sembra l’inesorabile ritorno di Letta, il premier cacciato da Matteo Renzi.

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