E così l’Italia ha trovato la sua Margaret Thatcher. L’ha trovata in una destra che non nasce su una cultura liberista. Ma non ci si faccia ingannare. Il passato fascista accadeva quando l’Italia si stava industrializzando; il corporativismo era opportunisticamente un correttore del liberalismo economico in un paese che stava edificando il capitalismo nazionale e aveva bisogno di pace sociale, a tutti i costi.

Opportunismo è il termine chiave. Ci dice che la destra sociale o stato-centrica è figlia prima di tutto della contingenza. Se negli anni Trenta serviva lo stato dirigista oggi serve uno stato latitante e lassista. L’obiettivo è lo stesso: fare prima di tutto gli interessi di chi «crea ricchezza». Oggi, questo vangelo viene espresso con una politica fiscale che, ha ben spiegato Alessandro Penati su questo giornale, significa «meno tasse per tutti, per crescere di più».

Questa la massima thatcheriana del trickle-down: abbassare le tasse ai benestanti avrebbe un effetto di grande prosperità per tutti, in quanto quella parte di profitto che dovrebbe andare allo stato va sul mercato. Il pubblico, secondo questa filosofia primitiva, sarebbe come l’orco vorace delle favole, che si sconfigge affamandolo. La società farà da sola quello che uno stato esangue non fa (non deve fare) più.

La sofferenza

In questo dimagrimento, a soffrire sono quelle parti di società che non partono bene, ovvero che vivono in un ambiente deprimente o, come dicono per un malcelato pudore i nostri ministri, che non sanno produrre ricchezza.

Senza i lacci e lacciuoli delle tasse e delle regole (per esempio sugli appalti e i subappalti) anche chi sta peggio potrebbe essere per necessità indotto a darsi da fare.

Le parti che soffrono in Italia sono le solite: le classi sociali non protette (e non ben rappresentate in parlamento) e le parti disagiate del paese, senza un tessuto socio-economico solido, sano e dinamico (il sud, prima di tutto quello geografico).

È da decenni che queste debolezze sono trattate come una “palla al piede”, per rubare a Antonio Gramsci l’espressione che usava per parlare di come i governi liberali dell’Italia unita avevano trattato il meridione. Come un tempo si diceva della condizione delle donne così si può dire della condizione del nostro sud: sono lo specchio dell’intera società. Se si vuol capire quale il sia senso di giustizia di una società si guardino prima di tutto le politiche adottare per le parti più svantaggiate.

Lo specchio dell’Italia di oggi, frutto di decenni di politiche liberiste che questo governo rappresenta al meglio, è in quelle aree, a volte bellissime, socialmente abbandonate. E la proposta leghista di autonomia differenziata giungerebbe come la mazzata finale: tenere le regioni sotto il tallone nefasto di un establishment che accaparra le risorse e le distribuisce per restare in sella. L’autonomia differenziata è il trickle-down istituzionale. Ne ripete la logica. Con uno stato lassista e connivente.

L’esito, scrive Gianluca Passarelli su questo giornale, sarebbe fatale: «Migrazione a senso unico, desertificazione sociale, prosciugamento dei servizi essenziali, destrutturazione demografica e abbandono degli avamposti pubblici». Buttato ai roghi il piano ambizioso del Pnnr, gli strumenti finanziari e umani di questo governo per il meridione sono volti a creare una rapace classe socio-politica.

Gramsci parlerebbe di cadornismo: sacrificare la realtà ad un piano presentato con ipotesti logiche e razionali che non esita a dar torto alla realtà se questa lo falsifica, a costo di imporre sacrifici inutili a chi lo subisce.

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