Nel giorno in cui inizia il G7 che fa perno sulla ricerca di una posizione occidentale unitaria contro la Cina, il leader in pectore del Movimento 5 stelle il garante e fondatore Beppe Grillo aveva appuntamento con l’ambasciatore cinese in Italia, Li Junhua. Doveva partecipare anche il leader in pectore Giuseppe Conte, che all’ultimo, ufficialmente per impegni concomitanti, non l’ha accompagnato. È un nuovo tassello della linea filocinese del fondatore, che una manciata di giorni fa pubblicava sul suo blog un rapporto intitolato Xinjiang, capire la complessità, costruire la pace e commentava entusiasta: «Finalmente un rapporto scientifico che presenta la questione dello Xinjiang in maniera sistematica ed equilibrata». Solo due mesi fa ospitava sul suo blog anche l’intervento del professor Fabio Massimo Parenti, che insegna alla China Foreign Affairs University di Pechino, in cui l’autore minimizza le accuse contro Pechino per quanto riguarda la persecuzione del regime cinese contro gli uiguri.

Che il Movimento abbia sempre guardato alla Cina è fuori di dubbio, basta guardare i contributi più antichi del suo fondatore. Già nel programma elettorale del 2018 si parla di un «adeguamento dell’Alleanza atlantica (Nato) al nuovo contesto multilaterale», senza scendere più nel dettaglio su come mantenere le alleanze storiche italiane.

Un freno alla linea filocinese movimentista era stato inserito dalla Lega nel contratto di governo alla base del Conte I: a pagina 18 del documento si legge che «si conferma l’appartenenza all’Alleanza atlantica, con gli Stati Uniti d’America quale alleato privilegiato, con una apertura alla Russia, da percepirsi non come una minaccia ma quale partner economico e commerciale potenzialmente sempre più rilevante». Un impegno di cui nei fatti è rimasta poca traccia, considerato che l’allora ministro dello Sviluppo economico e capo politico del Movimento, Luigi Di Maio, si impegnò quasi subito – primo paese occidentale – nella firma di un memorandum d’intesa con la Cina nell’ambito del progetto della Via della seta di Pechino. La firma di marzo 2019 aveva come obiettivo dichiarato la semplificazione dei contatti commerciali tra Cina ed Europa e come obiettivo politico un riallineamento dell’asse in chiave filocinese. Anche con il passaggio alla Farnesina, Di Maio ha inizialmente tenuto una posizione ambigua sulle alleanze internazionali, per esempio nel dossier che ha riguardato la nomina del nuovo capo dell’agenzia delle Nazioni unite per la proprietà intellettuale, la World Intellectual Property Organization: nella corsa tra un candidato di Singapore e uno cinese, l’Italia non si è distanziata da Pechino fino all’ultimo, quando poi ha votato per Daren Tang, il candidato singaporiano, sostenuto anche dagli Stati Uniti. Il Conte II ha segnato però l’inizio del ravvedimento di Di Maio e, appariva allora, del Movimento. Ad agosto 2020, in un incontro formale con il suo omologo cinese Wang Yi, i toni erano già molto più cauti: «La Cina è uno dei partner economici più strategici per l’Italia e il nostro rapporto è basato sulla franchezza. La nostra appartenenza all’Unione europea e alla Nato è più solida che mai, e proprio questa certezza ci consente di avere un rapporto forte con la Cina», aveva detto in quell’occasione. Se da un lato l’entusiasmo nei confronti della collaborazione Roma-Pechino si era affievolito, dall’altro, per recuperare il rapporto incrinato con Washington è stato necessario molto impegno da parte dello stesso Di Maio, ma a poco a poco la linea sua (e anche quella di Conte) sembrava tornata a privilegiare le relazioni con gli Stati Uniti, come emergeva per esempio negli incontri di settembre 2020 con l’allora segretario di Stato Mike Pompeo, un falco anticinese. In quell’occasione si era parlato molto di 5G, e Conte, Di Maio e Pompeo si erano tutti detti d’accordo sui rischi che provenivano da Pechino su quel tema. Il rapporto era definitivamente rifiorito con l’elezione di Biden: il ministro degli Esteri ad aprile scorso comunicava esultante di essere il primo ministro degli Esteri a fare visita alla nuova amministrazione e firmava insieme al segretario di Stato Antony Blinken un editoriale su Repubblica sulla cooperazione tra Italia e Stati Uniti.

La linea di Grillo

Mentre Di Maio si affrancava dalla linea filocinese del M5s che lo aveva portato a ricoprire tre volte la carica di ministro, il fondatore non sembra aver mai cambiato linea. I suoi occhiolini a Pechino e le tirate contro Washington non sono mai scomparsi dal blog: i contatti sono stati anche più concreti, diverse volte Grillo è stato ospitato all’ambasciata cinese, anche in compagnia del cofondatore dei Cinque stelle Gianroberto Casaleggio, quando era ancora in vita. L’incontro più recente risale a novembre 2019, quando era già in carica il Conte II, ma a febbraio 2020 Grillo sul blog condivideva un articolo del solito Parenti intitolato Coronavirus: la Cina ne uscirà più forte. I contributi che riguardano Pechino, in toni più o meno enfatici, sono tantissimi, la ricerca interna al blog restituisce 763 risultati. Bisogna vedere se adesso la sua linea, che evidentemente non è più quella di Di Maio, sia davvero condivisa da Conte. Nell’infinita trafila interna che alla fine dovrebbe incoronarlo nuovo leader che lo sta consumando, potrebbe così guadagnare terreno sul rivale interno che ormai rappresenta per lui il ministro degli Esteri. Resta da vedere se sacrificare l’autorevolezza che si era guadagnato negli incontri con i leader internazionali durante i governi per conquistare quella del fondatore del Movimento e quella di Pechino sia un gioco che vale la candela.

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