Ma chi glielo fa fare? La prima domanda non può che essere questa quando ci si trova a parlare con un signore benestante, di un’importante famiglia bergamasca che si è iscritto al Pd a dicembre – e va bene, anche Elly Schlein ha fatto così, fin qui a questo giro niente di strano, si fa per dire – ma ora prova a farne il segretario avendo negli scorsi 73 anni fatto altro.

Antonio Guizzetti, economista, è prodigo di racconti di vita, per dimostrare che ha sempre praticato valori progressisti. Classe 1949, un inizio nel gruppo del manifesto, la laurea in economia alla Bocconi di Milano, il dottorato a Parigi, poi assistente alla Bocconi, il lavoro ai progetti di sviluppo nei paesi dell’Africa e dell’America Latina, poi un’esperienza importante in Giappone.

Al rientro all’Eni, «con l’incarico di rappresentare il gruppo e le partecipate presso le Banche Multilaterali di Sviluppo», poi l’incarico alla Banca Mondiale. Lì conosce Mario Draghi, che «in quegli anni arrivò a Washington come direttore esecutivo italiano». Un’esperienza, quella di quegli anni «che mi ha portato a girare il mondo e a toccare in prima persona i problemi che sono anche problemi dell’Italia, la povertà, la transizione ecologica, la digitalizzazione del settore pubblico».

Docente «presso un certo numero di università», Sophia, Tokyo, Costa Rica, Panama dice il suo curriculum, autore di riviste di economia sui temi dello sviluppo sostenibile e della transazione energetica.

Rugbista, padre e nonno. Finanzierà la sua campagna «con fondi personali, nessuno sponsor, e grazie al sostegno di amici che credono nella mia candidatura».

Una vita intensa e dunque, ci riprovo, chi glielo fa fare? 

Sono una persona che passa molto tempo a casa fra i suoi libri. Ho sempre avuto la vocazione di fare qualcosa per la comunità. E in questo momento credo che il paese abbia bisogno di persone come me, che hanno delle competenze, esperienze, professionalità, mettermi in gioco per la segreteria del Pd può essere un contributo.

Se uno vuole fare politica si iscrive a in un circolo. Non punta troppo in alto, per iniziare?

Ci sono due modi di ristrutturare un’organizzazione: con una pressione interna o esterna. Io sono un outsider, un underdog, uno sconosciuto. Ma sconosciuto solo alle correnti del partito, alieno, estraneo ai giochi di potere di Roma. Ma proprio perché vengo da fuori sono in grado di dare una boccata d'aria fresca, e idee al partito. Se ne abbiamo ancora tempo, perché al momento il Pd perde un punto percentuale al mese. Enrico Letta dice che fare l’opposizione fa bene, non sembra. 

Nel Pd qualcuno l’ha incoraggiata?

Ho conosciuto accademici importanti, Joseph Stigliz, Jeffrey Sacs, Amarthya Sen, mi hanno sempre guidato nei miei studi e nelle mie ricerche. Incontrandoli nel meeting, mi sono sempre confrontato con loro. Ho amici importanti in Italia. Washington, dove ho vissuto, è un crocevia di relazioni, lì passa la grande finanza e la grande industria. E queste persone, che sono legate a me per amicizia e stima, mi hanno spinto a mettermi a disposizione del mio paese. Naturalmente parto nella corsa senza un patrimonio di relazioni e conoscenze, sto mettendo a punto la lista dei circoli del Pd. Ma sulla pagina web del Pd, nella lista dei circoli del partito, il 70 per cento dei numeri dei telefoni non funziona e tantissimi indirizzi email sono sbagliati. Chiamare Roma è sempre un problema, c’è un centralino che non ha il passante agli uffici e ricevo la tipica risposta romana: è fuori stanza, richiami più tardi. Ma ho grande entusiasmo, e un gruppo di lavoro di qualità. Credo di aver scritto un manifesto che può  dare una mano a rifondare il Pd. Vorrei dare al Pd una visione nella quale l'innovazione e la tecnologia, le chiavi di accesso allo sviluppo, siano sfruttate per creare valori condivisi e benessere per le persone, distribuire la ricchezza e proteggere l'ambiente.

Ripeto: conosce qualche dirigente del Pd?

Nelle elezioni politiche precedenti Lapo Pistelli mi ha proposto di candidarmi per il collegio estero. Ho incontrato varie volte Bersani, D’Alema. Matteo Renzi è venuto due volte alla Georgetown University. Da primo ministro fece un bellissimo discorso.

Qual è il suo giudizio su Renzi?

È stato una grande novità nella politica italiana. Il Pd ha fatto l’errore di non appoggiare abbastanza il suo referendum costituzionale. Ora lui ha fatto scelte personali, quella di fare il lobbista, ma sono scelte che non giudico, sono cose che negli Usa i grandi politici fanno normalmente quando smettono di fare politica.

Ma Renzi fa ancora il senatore

Sì. Ha preso una direzione che lo ha allontanato dal Pd, ed ha un concetto diverso dal mio, io credo in una sinistra riformista. Lui pensa di pescare sul blocco degli elettori del grande centro. Comunque senz'altro è una personalità che la politica italiana dovrebbe usare.

Lei è un banchiere rosso?

Non ho una banca, al massimo sarei un bancario. Ma aver lavorato per banche multilaterali di sviluppo fa di me un economista interessato allo sviluppo sostenibile.

È mai entrato nella sede nazionale del Pd?

No. Sono stato alle Botteghe oscure quando c’era il Pci. Mi sono iscritto al Pd da dicembre e ora frequento i circoli di Bergamo. Con gli altri militanti dibatto e ascolto.

Crede di riuscire a raccogliere le firme che servono per candidarsi?

È il tema su cui siamo concentrati in questi giorni. Il regolamento è stato approvato l’11 gennaio. Non mi è ancora chiaro come dobbiamo raccogliere le firme. Serve il 20 per cento dei membri dell’assemblea nazionale, oppure fra le 2mila e le 3mila firme di iscritti al partito distribuite in almeno 12 regioni, con un minimo di 60 per regione. Sono numeri importanti ma non impossibili.  Continuo a chiamare al partito, non mi è chiaro se le firme vengono raccolte elettronicamente, manualmente. Se c’è un formulario cartaceo da portare nei circoli, e come deve essere certificata ogni firma. Comunque ho volontari in quasi tutte le regioni d'Italia. Sono convinto che dopo aver superato questa asticella, quando andrò a dibattere con gli altri concorrenti, sui temi posso giocare un ruolo importante.

Vuole dimostrare che il Pd è scalabile anche da un esterno?

Voglio dimostrare che una persona che ha una cultura e una formazione di sinistra, che ha una formazione professionale di sinistra, che ha delle esperienze, anche se negli ultimi vent’anni non ha frequentato il partito, può dare un contributo al Pd, per rifondarsi, ristrutturarsi, e costruire una cultura di sinistra di governo. E penso che sia l’ultima chance per noi di sinistra.

Se non dovesse riuscirci, chi voterà dei candidati in corsa?

Sinceramente non ho capito molto le differenze fra i programmi. Schlein e Bonaccini e De Micheli sono persone di valore, ma sento troppo parlare di alleanze, posizionamenti, e poco di idee. Se non passo la prima asticella mi metto a disposizione. Ho molto stima per Gianni Cuperlo, persona equilibrata e di valore. Oggi fra i quattro voterei lui.

Se non diventa segretario cosa farà?

Continuerò la mia attività di studio e di ricerca. Nel computer ho due manoscritti che ho presentato a qualche editore italiano, uno è un romanzo sulla società italiana. Sarò a disposizione del partito, della sinistra, del paese.

Settantré anni, lei è il senior dei candidati. Non si sente anziano in un congresso che chiede rinnovamento?

Due anni fa i democratici americani hanno scelto Biden, che è più vecchio di me, per fare il presidente degli Usa. Non mi sento a disagio a fare il candidato. La giovinezza non è un fatto anagrafico ma di idee, ed io ho idee giovani e vincenti.

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