«La nostra soddisfazione arriverà quando vedremo i fatti, non le parole. Poi certo, qui, non ci sono neanche le parole». La presidente di Arcigay Nazionale, Natascia Maesi e il segretario nazionale, Gabriele Piazzoni lasciano l’incontro con la ministra alle Pari Opportunità, Eugenia Roccella e raccontano a Domani un’ora di soliloquio. Dove la ministra, ex portavoce del Family Day, nello studio della Presidenza del Consiglio, ascolta silente e ferma nelle sue posizioni mentre gli attivisti le mettono sotto gli occhi dati, episodi di aggressioni e posizioni omotransfobiche del governo che negli ultimi mesi hanno travolto la comunità arcobaleno

«Il ministero delle pari opportunità è un istituzione democratica di questo paese che deve occuparsi di questi temi. Il silenzio non è accettabile», dicono. L’ultima volta che l’associazionismo Lgbt aveva incontrato una ministra di destra era il 2008, alla Camera dei deputati. Era stato un dialogo “soddisfacente” con il Presidente della Camera Gianfranco Fini e la ministra (alle cronache ancora indicata come Ministro) per le Pari opportunità Mara Carfagna. In un paese diverso da questo, passato attraverso mutazioni d’epoca sociali e politiche. L’Europride di Roma, l’approvazione delle unioni civili, la battaglia per le trascrizioni delle famiglie arcobaleno.

È cambiato il mondo sotto gli occhi e sono cambiati i suoi protagonisti. Mara Carfagna è oggi una deputata fuoriuscita da Forza Italia sostenitrice dei diritti Lgbt, Gianfranco Fini, mentore originario di Giorgia Meloni, si è ritirato dalla vita politica da anni, ha sostenuto le unioni civili e critica la cancellazione da parte di Trump della parità di diritti e la «discriminazione degli omosessuali e delle persone transgender». Oggi al ministero della Pari Opportunità c’è Eugenia Roccella che propose un referendum per abolire le unioni civili insieme a Giorgia Meloni.

Dentro questo tempo nuovo a varcare la porta del dipartimento Pari Opportunità sono la prima presidente donna di Arcigay, Natascia Maesi e il segretario generale Gabriele Piazzoni. Maesi stringe dei fogli. Dati: nel 2025 si contano un’aggressione omotransfobica ogni sei giorni. Le buone pratiche e i richiami internazionali: l’Italia è tra i Paesi che la comunità internazionale osserva con più preoccupazione, pochi giorni fa le Nazioni Unite si sono espresse con ben 19 raccomandazioni di altrettante azioni e provvedimenti da porre in essere a tutela delle persone Lgbt.

Il tira e molla sul gender

Maesi pone al primo punto “educazione e prevenzione delle scuole”. Quello che per la ministra Eugenia Roccella è teoria gender. «Il mondo in cui viene utilizzata l’inesistente teoria gender crea odio e discriminazione e impedisce incontri contro il bullismo nelle scuole», fanno presente. La risposta di Roccella alza un muro: «Per noi esiste la componente della teoria gender».

Maesi e Piazzoni presentano il conto a Roccella di una politica che dal primo giorno mette nel mirino la comunità Lgbt: «Gli esponenti del governo hanno contribuito ad alimentare un clima di violenza e odio: dal dibattitto sul ddl Varchi (sul reato universale di Gestazione per altri, ndr), a quello sui percorsi di affermazione di genere, per non parlare della “teoria gender”. Tutto ciò alimenta l’odio e il pregiudizio nella comunità che viene tradotto in violenza. Il governo deve intervenire, il ministero deve farlo per fermare la creazione di questo mostro che cresce dichiarazione politica dopo dichiarazione».

Punti differenti, visioni del mondo che non si incontrano. Roccella raccoglie il dossier di Arcigay che racconta l’anno apertosi con l’assalto a una coppia gay romana da parte di dieci ragazzi e continuata con un padre che brutalizza il figlio con una chiave inglese. «Prendo atto che ritenete che ci sia un aumento di queste forme di violenze». Nessuna promessa di impegno, nessuno slancio di solidarietà. «Il nostro scopo era inchiodare il ministero alle proprie responsabilità», spiega Piazzoni. «Abbiamo portato dentro quella stanza la realtà della comunità Lgbt. Vite e non sigle o slogan. Fatti. Il ministero può liberamente continuare a non fare il proprio lavoro. Noi continueremo a incalzarli».

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