A fine giornata nel governo, soprattutto tra gli esponenti di Fratelli d’Italia, hanno tirato un sospiro di sollievo: il 25 aprile è finito. I panegirici comunicativi e le fughe dalle domande possono essere interrotte, almeno fino al prossimo anno. La festa della Liberazione è stata così archiviata nel 2023 tra mille affanni e puntualizzazioni provenienti dal partito di Giorgia Meloni. A cominciare dalla leader stessa.

La presidente del Consiglio si è limitata a rispettare il protocollo con la presenza all’altare della patria insieme al presidente della Repubblica, Sergio Mattarella. Per il resto è stata una giornata di riposo, terminata già poco dopo le 9 di mattina, quando la cerimonia di commemorazione ufficiale a Roma era conclusa.

Ha fatto il minimo sindacale, inviando una lettera al Corriere della sera piena di distinguo, compreso quello tra patrioti e partigiani, e formule per aggirare una chiara professione di antifascismo. Una parola che la loquace presidente del Consiglio non riesce proprio a pronunciare. E così si è concessa un martedì senza altri appuntamenti in agenda. Una scelta che ha reso palese una certa insofferenza verso questa data.

La Russa in fuga

È caduto dunque nel vuoto l’appello lanciato dal Partito democratico. «Oltre all’altare della Patria, mi piacerebbe vedere Meloni in uno dei tanti luoghi italiani simbolo della Resistenza», aveva detto la vicepresidente del Pd, Chiara Gribaudo. «Sarebbe bello se Meloni seguisse l’esempio del presidente della Repubblica», aveva detto la deputata dem.
Altro osservato speciale della giornata è stato il presidente del Senato, Ignazio La Russa, esempio perfetto dalla destra in fuga dalla festa della Liberazione. Dopo la cerimonia a Roma è volato a Praga, come previsto, per partecipare alla conferenza dei presidenti dei parlamenti dell'Ue. Lì ha reso omaggio a Jan Palach, simbolo delle proteste contro il comunismo dell’allora Cecoslovacchia. La seconda carica dello stato ha dribblato le domande dei giornalisti poi, nel suo intervento alla conferenza, ha circoscritto il suo ragionamento a un’ovvietà: «Il 25 aprile è il giorno nel quale viene ricordata la sconfitta del fascismo». Nessuna correzione di rotta rispetto alle dichiarazioni dei giorni scorsi.

Revisione lessicale

Nel governo è stato rispettato l’ordine di scuderia di seguire un approccio prudente. Nessun gesto clamoroso e l’uso reiterato della parola libertà al posto di liberazione, come ha fatto tra le altre la ministra Daniela Santanchè. 

Una revisione lessicale tipica di FdI. Un altro esempio, in tal senso, è stato il ministro dell’Agricoltura, Francesco Lollobrigida, presente alla commemorazione nella sua Subiaco, ha affidato a Facebook il suo pensiero. Tante volte ha citato la «libertà», mai la liberazione. Il ministro ha affidato ai social gli insegnamenti della sua maestra delle elementari che era «antifascista» e «per ragioni simili anticomunista», abbandonandosi quindi all’amarcord della sua gioventù, ossia quando Bella Ciao «era divenuta simbolo di quelli che nei primi anni delle scuole superiori la cantavano, mentre cercavano di impedirmi di esprimere le mie idee».

Il ministro del Pnrr, Raffaele Fitto, è stato a Lecce in compagnia del sottosegretario Alfredo Mantovano. «La nostra posizione è unire e non dividere», si è limitato a dichiarare rilanciando la lettera di Meloni. Allineato alla linea meloniana pure il ministro del Made in Italy, Adolfo Urso, che ha parlato di «festa della libertà» e ha partecipato alle celebrazioni organizzate dalla comunità ebraica a Porta San Paolo a Roma.

Il titolare della Difesa, Guido Crosetto, ha presenziato alla commemorazione nella sua Cuneo, accompagnando il capo dello stato, senza colpi d’ala. La sottosegretaria allo stesso ministero, Isabella Rauti, ha scelto toni istituzionali parlando del 25 aprile come «una data che segna uno spartiacque nella storia nazionale». Con queste parole ha annunciato la deposizione di una corona d’alloro nel mausoleo dei martiri delle Fosse Ardeatine. Come per tutti gli altri casi, nessuna presa di posizione sull’antifascismo, espressione messa al bando.

Il vicepremier Matteo Salvini ha reso «omaggio ai caduti per la libertà che riposano nel cimitero americano di Firenze», scegliendo un profilo basso come tutti i colleghi di governo. Mentre l’altro vice a palazzo Chigi, Antonio Tajani, ha indossato i panni del difensore d’ufficio della presidente del Consiglio: «Meloni ha seguito il solco tracciato da Berlusconi» con il discorso di Onna del 2009. Solo che, 14 anni dopo, la destra al potere continua a cercare di eludere il senso della festa della Liberazione. Proprio come ha fatto La Russa con i giornalisti a Praga.

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