Il danno di vedersi rinviare l’esame di abilitazione alla professione forense a poco più di un mese dalle date fissate è stato grande ma in qualche modo atteso visto l’aggravarsi della pandemia. Peccato che ai praticanti avvocati sia toccata la beffa di scoprirlo da Facebook. Il ministro della Giustizia, Alfonso Bonafede, infatti, ha comunicato con un post che «a causa dell’aggravamento della situazione sanitaria e la conseguente necessità di ridurre, quanto più possibile, le occasioni di diffusione del virus si impone il rinvio delle prove scritte degli esami d’avvocato programmate per il 15-16-17 dicembre».

Una modalità che ha lasciato basiti gli oltre 20mila aspiranti avvocati che hanno affidato soprattutto ai social la loro doppia frustrazione: il rinvio, ma anche la mancanza di indicazioni sul futuro. «Il rinvio dell’esame sine die non è una soluzione e, ancor di più, un errore che aggrava la condizione nella quale già ci troviamo, tardando ulteriormente il nostro ingresso nel mondo del lavoro», scrive Vincenzo La Licata, il responsabile dell’Associazione italiana praticanti avvocati.

L’esame da avvocato, infatti, è un test di abilitazione complesso che richiede una preparazione di molti mesi: prima ci sono tre prove scritte – un parere di diritto penale, uno di diritto civile e un atto a scelta tra tre tracce – poi, superate quelle i cui tempi di correzione sono di circa sei mesi, va sostenuto un esame orale su sei materie. In tempi normali, l’iter occupa quasi un anno, oltre alla preparazione: gli scritti a dicembre, gli orali cominciano in settembre e nei grandi fori possono durare anche fino a novembre e dicembre, tanto che è prassi iscriversi di nuovo all’esame nell’incertezza del superamento dell’orale.

Quindi, la cancellazione delle prove scritte di dicembre senza una data di rinvio fa piombare gli aspiranti professionisti in un limbo di incertezza. Proprio questa è la contestazione: «La mancata attivazione del ministero della Giustizia il quale non ha provveduto ad adottare misure alternative al fine di consentire lo svolgimento dell’esame».

Tra le ipotesi mai concretizzate, infatti, c’era la soluzione straordinaria di non svolgere le prove scritte ma solo la prova orale a distanza di sicurezza oppure da remoto, «proprio come già previsto dal ministero dell’Università e della Ricerca per tutte le altre libere professioni» scrivono i praticanti. In uguale confusione sono anche i praticanti che hanno sostenuto le prove a dicembre 2019: la pandemia ha rallentato le correzioni degli scritti e gli esiti sono arrivati ben oltre giugno, facendo slittare l’inizio degli orali. Orali che, nonostante la pandemia, continuano a svolgersi in presenza.

Arrivederci a primavera

In realtà, la data di slittamento è stata ipotizzata anche se il ministro non la ha inclusa nel suo post di Facebook. «Le prove dovevano svolgersi dal prossimo 15 dicembre ma, dalla comunicazione del governo, abbiamo appreso che saranno rinviate alla primavera del 2021», scrive il deputato di Liberi e uguali e avvocato, Federico Conte. Che sottolinea anche un altro aspetto: ormai da tempo è in corso un dibattito per ripensare l’esame di abilitazione alla professione forense, che però non è mai culminato in una proposta concreta.

Per ora, tuttavia, rimane evidente un dato: 20mila praticanti che hanno già sostenuto dei costi (i corsi di preparazione possono costare anche qualche migliaio di euro, oltre all’acquisto dei codici commentati per svolgere la prova, che costano circa 450 euro) sono bloccati. Hanno svolto due anni di pratica in uno studio, ma nessuna norma prevede che il loro lavoro venga retribuito. Alcuni avvocati garantiscono un compenso, altri un piccolo rimborso spese, moltissimi invece considerano quello dei praticanti una sorta di volontariato obbligatorio per diventare professionisti. E nessuno dei decreti ha previsto per loro un qualche tipo di ristoro economico. Professionisti a metà, tra i 26 e i 30 anni, senza un orizzonte certo.

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