Scricchiola la pace interna al Pd, o meglio la tregua in attesa dell’apertura del palio delle liste per le europee. Da un po’ di tempo per la segretaria Schlein ogni giorno ha la sua pena. Lunedì è stato la giornata delle “disobbedienti” che, contravvenendo per la prima volta alla linea del Nazareno, anziché abbozzare dinanzi all’ennesimo attacco di Giuseppe Conte (il presidente M5s le ha mandato a dire ruvidamente che piuttosto che pensare di fare la «federatrice» del campo largo deve aspirare a «federare le correnti interne del Pd»), all’ex premier hanno risposto alzo zero. Lo hanno fatto la vicepresidente dell’Europarlamento, Pina Picierno e l’ex capogruppo alla Camera, Debora Serracchiani. Lo strascico delle polemiche è andato avanti per ore. Per questo ieri nel Transatlantico della Camera la segretaria e il presidente M5s si sono stretti la mano davanti ai cronisti. Conte ha persino abbozzato una mezza giustificazione alle sue intemperanze: «Il problema è che sono giorni che mi chiedono “la federazione, la federazione”».

Ieri, martedì, un altra increspatura. Ad agitare le chat del Pd stavolta è stato il presidente della Toscana, Eugenio Giani, che sul Foglio si è dichiarato favorevole al terzo mandato per i suoi colleghi presidenti di regione. Fin qui nulla di grave: la discussione nel Pd non è stata ancora affrontata ufficialmente e sul tema vige una qualche libertà di opinione. Il fatto è che Giani ha aggiunto: «Anche Schlein mi ha detto di essere favorevole».

Che sta pensando?

Colpo di scena, dunque? Per la segretaria si tratterebbe di un’inversione a U rispetto a quello che ha sempre lasciato intendere. La questione del numero dei mandati peraltro è la montagna che divide lei da Vincenzo De Luca (almeno la principale). E su questa battaglia il presidente non è solo: dalla sua parte, quindi da quella opposta a Schlein, ci sono anche i colleghi Michele Emiliano, presidente della Puglia, e Stefano Bonaccini, presidente dell’Emilia-Romagna e del partito. Entrambi non solo per ragioni di principio: sono desiderosi a proseguire il governo della propria regione, anche se la fine mandato è nel 2025.

Meloni e Schlein contrarie

Tutti e tre, secondo molte fonti, sperano che sia la destra a risolvere il problema: ovvero a decidere di concedere il terzo mandato per legge. Da quella parte sarebbero interessati al tema Giovanni Toti in Liguria ma, soprattutto, Luca Zaia in Veneto (che in realtà il terzo mandato lo sta già svolgendo, e ora punta al quarto) e Massimiliano Fedriga in Friuli-Venezia Giulia: due leghisti non di rito salviniano.

La questione dunque agita parecchio anche le destre. Forza Italia è contraria al terzo mandato. Ma da questa parte c’è chi vuole sradicare il plebiscitato Zaia dal suo monumentale elettorato: in primis, i leghisti vicini al vicepremier. Ma a fare da Cassazione è ovviamente la posizione di Fratelli d’Italia e della premier Giorgia Meloni, interessata a rendere scalabili regioni fin qui solo leghiste. Formalmente il vicepremier leghista può dunque proclamarsi favorevole al ter, o quater nel caso del Veneto. Tanto sa che non passerà mai.

A sinistra le cose sono più chiare, almeno in teoria. A chi glielo chiede direttamente, Schlein risponde che «al momento la legge non lo consente, ma la decisione sarà presa con tutto il partito». Epperò si sa che lei è contraria: anche se è consapevole che i «cacicchi» dei quali ha promesso pulizia nel partito, sono anche i titolari di importanti pacchetti di voti, e di un consenso personale che senza di loro evaporerebbe, in Puglia e in Campania persino verso lo schieramento opposto. In ogni caso il suo l’orientamento è negativo. E per questo Stefano Bonaccini ormai si sta orientando a correre alle europee.

Nel frattempo ieri Giani è stato gentilmente costretto alla smentita: «Non ho mai partecipato a riunioni interne del Pd sul superamento del limite dei due mandati», dice una nota che ha inviato alle agenzie, «quindi non conosco la posizione specifica di Elly in merito».

Il caso Bonaccini

Certo, restare nella sua regione è sempre la sua opzione A. Lo si è capito domenica scorsa da quello che ha risposto a Galeazzo Bignami (quello della foto vestito da SS, durante l’alluvione ha provato a fare scordare i suoi trascorsi presentandosi nei panni di spalatore di fango ma alla fine anche il suo partito si è reso conto che non ha chance da presidente di regione). Il viceministro FdI gli ha mandato a dire di aspettarsi che Bonaccini non voli a Bruxelles. Lui gli ha replicato con un post su Facebook: «Tralascio il fatto che non mi hanno voluto nominare commissario alla ricostruzione, come anche i sindaci di centrodestra e tutte le parti sociali chiedevano, ma sanno perfettamente che tra un anno scadrà il mio secondo mandato. Siccome hanno sempre detto che ci vorranno anni per ricostruire tutto ciò che è stato distrutto o danneggiato lo scorso maggio, immagino allora saranno coerenti con questo auspicio e daranno il via libera al possibile mio terzo mandato. O non lo faranno perché hanno timore di riavermi come avversario?»

FdI contro Lega

Ma la verità è che FdI vuole liberarsi dei presidenti leghisti giunti a fine corsa. E così in parlamento si prepara la recita in famiglia. Nei giorni scorsi il leghista Roberto Stefani ha presentato alla Camera un emendamento alla proposta di revisione del Tuel, il Testo unico per gli enti locali. Stefani non è un leghista qualunque: il deputato è anche segretario della Lega del Veneto. Ed è stato imposto da Salvini nel regno di Zaia. Ed è stato eletto con i voti di Zaia ma solo a patto che poi la Lega sostenesse la battaglia per il quarto mandato. Una simil battaglia ci sarà. Ma per ora l’accordo, ovviamente non ufficiale, è che sarà vinta per i comuni fino a 15mila abitanti. Ma non per le regioni.

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