Giorgia Meloni arriverà giovedì a Bruxelles già sulle barricate. Il passaggio di comunicazioni alla Camera e al Senato che di prassi precede il Consiglio europeo è stato più complesso del previsto e – anche al netto dello scivolone con polemica su Mario Draghi – ha tradito lo stato di nervosismo dentro il governo e soprattutto della premier.

I punti all’ordine del giorno europeo riguardano soprattutto questioni di politica estera, a partire dalla guerra in Ucraina fino alle nuove richieste di adesione all’Ue, tuttavia i due veri argomenti – che Meloni non ha nascosto essere il vero cuore dell’incontro – riguarderanno il Patto di stabilità (rinviato formalmente al prossimo Ecofin) e le questioni migratorie.

Il Patto di stabilità

«Non escludo nessuna scelta», è arrivata a dire la premier in merito all’ipotesi di mettere il veto sul Patto di stabilità. «Credo si debba fare una valutazione su ciò che è meglio per l’Italia, sapendo che se non si trova un accordo noi torniamo ai precedenti parametri», ha spiegato. Parole che tradiscono tutta la tensione intorno a un negoziato che non sembra volgere positivamente.

«Vedo qualche spiraglio ma si vedrà alla fine, le posizioni di altri paesi sono ancora distanti e siamo lontani da un accordo definitivo», è la conclusione. La sensazione è che la premier abbia già rivendicato il massimo che si poteva ottenere: l’accettazione del punto proposto dall’Italia per cui il rapporto deficit Pil debba tenere conto, nel triennio 2025-2027, degli interessi sul debito per la transizione verde e digitale e per la difesa. Sostanzialmente, uno sconto per tre anni che però non è strutturale. Un contesto in cui comunque Meloni non ha voluto rinunciare a un fuori programma con Olaf Scholz e Emmanuel Macron nella notte tra mercoledì e giovedì: il presidente francese avrebbe provato a mediare tra la premier e il cancelliere, resta da vedere con quali risultati. 

Migranti

Se sul fronte economico la strada è decisamente in salita, su quello delle politiche migratorie Meloni potrebbe ottenere risultati migliori. La presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, nel suo intervento alla plenaria del parlamento europeo, ha espresso una linea in cui risuona la strategia del governo italiano, parlando di «alleanza globale per contrastare il traffico di migranti» e dicendo che «siamo noi a decidere chi arriva in Ue e in quali circostanze e non i trafficanti».

Inoltre ha rilanciato la politica degli accordi bilaterali coi paesi nordafricani di partenza e di transito, richiamando il patto con la Tunisia e annunciando che «lavoriamo per raggiungere presto accordi simili con l’Egitto», da associare a investimenti nelle economie locali. «Questo approccio comincia ora a dare i suoi frutti», ha sottolineato von der Leyen. La presidente, in una lettera inviata ai leader della Ue, ha quindi sottolineato che «l’accordo operativo tra Italia e Albania costituisce un esempio di pensiero fuori dagli schemi, in linea con gli obblighi previsti dal diritto internazionale e dellì’Ue».

Peccato che, solo qualche ora dopo, la Corte costituzionale albanese abbia sospeso la ratifica parlamentare dell’accordo. La Corte ha ora tre mesi per esprimersi con una sentenza. Non esattamente una buona notizia per Meloni che, proprio nelle sue comunicazioni ha rivendicato l’intesa firmata con il premier albanese Edi Rama (che sabato sarà ospite di Atreju).

Il contesto interno

Ma non è l’unico tormento per la premier. Il negoziato sul Patto di stabilità arriva in un momento tutt’altro che favorevole per il governo. Nonostante Meloni abbia rivendicato il fatto che il Pil stia migliorando, come anche lo spread e la fiducia delle agenzie di rating, il contesto politico si sta facendo di giorno in giorno più difficile.

La legge di Bilancio è ben lontana dall’approvazione, nonostante il divieto per i partiti della maggioranza di presentare emendamenti, e la questione del superbonus è ormai diventata un problema sia per i conti sia per la tenuta del governo. Sullo sfondo resta il problema della ratifica del Mes, che Meloni ha provato a spiegare come tema di dialogo con gli altri paesi europei in attesa di una valutazione del parlamento.

L’intento di usarlo come leva negoziale anche per il Patto di stabilità (improbabile, considerando che uno è un trattato internazionale, l’altro un accordo europeo) tuttavia è stato spazzato via dalla Lega. Matteo Salvini ha ribadito ancora una volta il suo «assolutamente no» alla ratifica, complicando ulteriormente la posizione della premier.

Meloni pensava di poter dare il via libera alla ratifica una volta firmata la riforma del Patto di stabilità. Magari giustificandola con l’esito soddisfacente del negoziato. Ora tutto appare pià difficile anche perché la Lega, che vuole chiaramente costruire sul tema la sua campagna elettorale alle Europee, difficilmente farà passi indietro.

Il ruolo della Germania

Nonostante le sue dichiarazioni nette («se volessi seguire il ragionamento per cui non bisogna parlare con chi ha posizioni distanti da noi non dovrei parlare neanche con la Germania, perché sul Patto di stabilità la posizione più distante non è quella di Orbàn ma quella della Germania di Scholz»), Meloni avere a Bruxelles una sponda inaspettata.

Il cancelliere Olaf Scholz nelle comunicazioni al Bundestag mercoledì ha citato esplicitamente gli sforzi che ha compiuto l’Albania per adeguarsi agli standard legislativi europei, ma soprattutto ha citato tra le priorità dell’ultimo semestre della legislatura europea la riorganizzazione del sistema d’asilo, con una più stretta collaborazione con i paesi d’origine e quelli di transito.

Ma per Scholz è importante anche negoziare un Patto di stabilità che permetta di ridurre l’indebitamento dei paesi ma consenta tutti gli investimenti necessari. Parole che si possono leggere come un’apertura inattesa al governo italiano, che vorrebbe tenere fuori dai conteggi proprio quegli impegni trasformativi a cui sembra far riferimento il cancelliere tedesco.

Che, peraltro, può contare su una certa tolleranza da parte del suo ministro delle Finanze, Christian Lindner. Il falco ha appena ottenuto un’importante vittoria sulle finanze nazionali. Chissà se sarà abbastanza per renderlo più tollerante in Europa.

© Riproduzione riservata