Non è un Paese per blogger. Lo sa bene Davide Fabbri, ex consigliere comunale dei Verdi di Cesena, presidente di un circolo culturale e giornalista di strada. Nel 2020 si interessa del colosso della carne Amadori, gruppo di Cesena leader del settore avicolo, 1 miliardo e 300 milioni di fatturato, 9 mila dipendenti. In piena pandemia raccoglie le testimonianze dei lavoratori di alcuni stabilimenti e denuncia presunte carenze nei protocolli anti Covid sul blog collettivo “La bottega del Barbieri”, fondato dall’ex cronista del manifesto Daniele Barbieri. Nessun editore né studio legale alle spalle.

Il suo attivismo non piace all’impresa di Cesena, che respinge con decisione ogni addebito e sommerge Fabbri di denunce. Quello che non sa, ma emerge ora dalle carte dell’inchiesta che ha portato all’arresto di Marcello Minenna e Gianluca Pini, è che l’amministratore delegato del gruppo Amadori non si accontenta di rivolgersi alla giustizia per tutelare la società.

Secondo la ricostruzione contenuta nell’ordinanza del gip di Forlì, l’ad dell’epoca, Francesco Berti, non indagato, si attiva con l’ex segretario della Lega Nord Romagna ed ex deputato Pini, e lo informa che l’azienda avrebbe inoltrato un'istanza alla questura di Forlì «affinché venisse diramato un avviso orale» nei confronti del blogger Fabbri. Una misura di prevenzione disposta dal questore e destinata a soggetti di elevata pericolosità sociale, che può comportare conseguenze pesanti, come il divieto di possedere un telefono cellulare e di accedere a internet: la morte di un blogger.

Ecco che nell’aprile del 2020 l’ad del gruppo Amadori chiede a Pini se ha contatti in questura «per raggiungere velocemente questo obiettivo». Subito si attiva la rete dell’ex parlamentare leghista. Pini chiama l’assistente capo della Digos Salvatore Albano, che secondo gli inquirenti di Bologna gli doveva riconoscenza: grazie ai suoi appoggi politici, Pini l’avrebbe fatto trasferire dal suo reparto di appartenenza, la scientifica, nel delicato ufficio investigativo politico, un “pactum sceleris” che avrebbe avuto come contropartita «l’asservimento della funzione pubblica» dell’agente di polizia «agli interessi privati di Pini».

Il 9 aprile 2020 l’ex politico, diventato imprenditore, lo invita in uno dei ristoranti che gestisce a Forlì, dove parlano della questione. Poi l’ex deputato invia su Whatsapp al poliziotto il pdf dell’istanza della Amadori al questore, file “Richiesta avviso orale 6.4.2020”, allegato subito cancellato dall’app di messaggistica.

L’agente della Digos poco dopo entra con le sue credenziali nel sistema informativo interforze Ced-Sdi, usato dalle forze di polizia per le indagini ed effettua ricerche su Fabbri «in assenza di qualsivoglia richiesta o iniziativa - annota il Gip - da parte del personale della questura».

Il giorno dopo, intercettato, Albano telefona a Pini e gli comunica di aver «letto tutta la richiesta di avviso orale nei confronti di Fabbri» assicurandogli che ne avrebbe parlato personalmente «con il vicedirigente della Divisione Anticrimine della questura di Forlì». Lasciando intendere che avrebbe sostenuto la proposta con i suoi superiori: «Sì, va bene, dai, adesso ne parlo con il vicedirigente, entrando in merito, entrando in merito».

Una settimana dopo la Digos avvia un’attività di monitoraggio degli articoli di Davide Fabbri, una pratica affidata dal dirigente dell’ufficio «alla Seconda sezione investigativa della Digos», quella in cui lavora l’assistente capo Albano. Al poliziotto amico di Pini neanche una settimana dopo viene assegnato il fascicolo su Fabbri e comincia il monitoraggio dell’attività del blogger. Oggi l’agente è indagato dalla Procura di Bologna insieme a Pini per corruzione e accesso abusivo a sistema informatico.

La replica

Contattato dal Domani, Davide Fabbri è all’oscuro di tutto: «Non ho ricevuto nessun avviso orale dal questore, non sapevo che l’avessero richiesto». Le denunce della Amadori però erano arrivate. Due, in rapida successione, dai fratelli Flavio e Denis Amadori, non solo per diffamazione ma anche per molestie e pubblicazione di notizie false, esagerate o tendenziose atte a turbare l’ordine pubblico, con tanto di richiesta di «sequestro del personal computer e dei dispositivi informatici» e di oscuramento dei profili social e del blog.

Richieste e ipotesi di reato ritenute infondate sia dal pm che dal gip. «Ne sono uscito vittorioso - commenta Fabbri - tranne in un filone dove ho subito un decreto penale di condanna, per cui ho pagato una multa di 75 euro, anche se non sono mai stati chiariti i passaggi ritenuti diffamatori».

Il Gruppo Amadori precisa che «l’azienda fece formale richiesta di avviso orale alla questura di Forlì, che non emise il provvedimento» e che «non risulta alcun “presunto interessamento” dell’ex ad per sollecitare la pratica». Dalla questura di Forlì spiegano che hanno partecipato all’indagine sull’assistente capo accusato di corruzione e che stanno valutando un provvedimento di sospensione. Ora è l’attivista a contrattaccare: «Mai avrei pensato che per screditare il lavoro di inchiesta di un blogger di provincia si potesse arrivare a tanto. Mi riservo di tutelare i miei diritti».

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