Enrico Letta, insieme per la verità a Mario Draghi e a Matteo Salvini, aveva detto e ridetto che se ne sarebbe parlato a gennaio. Fino ad allora, bocche cucite. E invece la frase pronunciata dal segretario del Pd a Cartabianca su Rai3, di cui già ci eravamo occupati ieri («Quella per il prossimo presidente della Repubblica sarà una elezione a larga maggioranza perché se così non fosse il governo cadrebbe immediatamente»), ha provocato una serie di reazioni a catena.

Ecco allora apparire sui giornali, in un certo senso inevitabile, il primo borsino dei candidati con le relative percentuali. Il Corriere della Sera, spiega Antonio Polito, è stato tirato per la giacchetta dalla dichiarazione di Letta, «i partiti e i leader che sostengono di lavorare per tenere in vita il gabinetto Draghi fino al 2023, hanno anche l'onere di cominciare a dire chi potrebbe realisticamente ottenere una “larga maggioranza”».

E dunque via con i calcoli delle probabilità su chi potrebbe ottenere più consensi e con la prima classifica stilata: primo Mario Draghi (80 per cento), secondo Pier Ferdinando Casini (65), terzo Giuliano Amato (55), quarta Marta Cartabia (50), ex aequo, entrambi col 35 per cento, Silvio Berlusconi e Paola Severino.

Sallusti contro Travaglio

A proposito di Berlusconi all’ultimo posto, dulcis in fundo o in cauda venenum che sia, c’è da dire che sul Cav. si sta scatenando una battaglia politico-editoriale a suon di petizioni via web e commenti dei direttori.

Al Fatto di ieri risponde oggi Libero, con un altro grande NO in prima pagina, l’annuncio di una petizione a favore della candidatura di Berlusconi e un articolo di Alessandro Sallusti. «Il candidato del centrodestra», scrive Sallusti «non possiamo lasciarlo decidere a Travaglio, né a Letta, né a Conte né a nessun altro che non ne abbia titolo».

E finisce invocando la sorte («avere contro certa gente porta bene»). Marco Travaglio invece attacca proprio Letta e Conte che non sono più espliciti nel loro No al Cavaliere, e si chiede con il consueto garbo: «Ma che ci vuole a dire che un vecchio puttaniere pregiudicato e finanziatore della mafia non può fare il capo dello stato neppure in Italia?».

Voglio essere “Franco” con voi…

Si sa, nel linguaggio diplomatico, è un modo di dire diffuso: “voglio essere franco”. Nel senso di sincero, schietto, senza peli sulla lingua. Ora il nostro ministro degli Esteri, Luigi Di Maio, pare che lo sia stato davvero con alcuni interlocutori stranieri che gli chiedevano, preoccupati, come finirà con questa storia del Quirinale.

Lo rivela oggi Tommaso Ciriaco su Repubblica. Di Maio avrebbe confidato che «Mario Draghi starebbe lavorando a una staffetta con Daniele Franco. L’attuale premier andrebbe al Quirinale, il ministro dell'Economia traslocherebbe a palazzo Chigi». Boom, come si dice.

Una “voce dal sen fuggita” o un’ipotesi fatta circolare coscientemente? Di Maio proprio ieri aveva ricevuto l’elogio di Giuliano Ferrara sul Foglio. È la dimostrazione vivente di un sistema «che trasforma le zucche in carrozze». Criticarlo sarebbe da «piccolo borghesi» della politica.

Zanda, diritto di replica

Diamo al senatore del Pd Luigi Zanda, tirato in ballo ieri su questo Monte Cavallo, il diritto di replica, a proposito del disegno di legge costituzionale proposto per modificare le regole sulla rielezione del presidente.

Gli chiede stamattina Il Sole 24 Ore: «La vostra proposta sembra però avere il significato di una spinta per la rielezione di Mattarella: dal momento che il presidente è contrario alla sua eventuale rielezione anche per non consolidare precedente, lo si rassicura che sarebbe l’ultima volta... Non c’è alcuna connessione tra la nostra proposta e l'appuntamento per la scelta del prossimo presidente. Ed è chiaro che il disegno di legge sarà discusso dopo, e quindi la nuova regola varrà solo per il futuro».

Vedete? A pensar male si fa sempre peccato…

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