Da settembre prenderà il via il supporto per la formazione e il lavoro, uno dei due strumenti sostitutivi del reddito di cittadinanza. Il dibattito pubblico sembra essersi completamente dimenticato di uno snodo che sarà centrale per le politiche del lavoro in Italia. Riguarderà circa 200 mila persone subito e 350 mila da gennaio 2024. Nuovi dati sembrano confermare le preoccupazioni.
Da settembre prenderà il via uno dei due strumenti sostitutivi del reddito di cittadinanza: il supporto per la formazione e il lavoro. Ma nonostante l’appuntamento sia dietro l’angolo, il dibattito pubblico sembra essersi completamente dimenticato di uno snodo che sarà centrale per le politiche del lavoro in Italia.
Centrale perché riguarderà circa 200 mila persone da settembre e 350 mila da gennaio 2024, e centrale perché intorno a questo (più che intorno al nuovo assegno di inclusione) si gioca tutta la visione del governo riguardo al rapporto tra politiche per la povertà e politiche per il lavoro.
In attesa del suo avvio però, emergono alcuni nuovi dati che sembrano confermare le molte preoccupazioni più volte espresse sulla sua efficacia, a fronte delle caratteristiche delle persone che potranno beneficiarne. In particolare, nei giorni scorsi Anpal ha diffuso la nuova nota mensile sull’andamento del piano “Garanzia di occupabilità dei lavoratori” (GOL), sulla cui infrastruttura si innesterà il nuovo strumento di supporto per gli ex percettori di reddito di cittadinanza.
Strumento che già oggi intercetta i percettori con l’obiettivo di attivarli e di aiutarli a trovare un lavoro. Se si analizzano i dati al 30 giugno si vede che, complessivamente, nel 180 giorni precedenti ha trovato lavoro il 33% delle persone prese in carico. Ma se si limita lo sguardo a coloro che percepivano il reddito di cittadinanza, la percentuale scende al 13% (circa 20mila persone).
Un dato che è in realtà ancora più basso, perché tra questi, 7mila avevano già un lavoro compatibile con il reddito di cittadinanza, ossia facevano parte della categoria dei working poor. Questo riduce a soli 11mila nuovi percettori occupati grazie al piano GOL negli ultimi sei mesi.
Le preoccupazioni
Sono numeri che non possono che preoccupare e che si spiegano anche a partire dalle caratteristiche della platea. Infatti i percettori di reddito di cittadinanza inseriti in GOL hanno nel 67,8% dei casi un titolo di studio che non supera la licenza media (contro il 48,8% del totale dei beneficiari del piano), e nel 75,6% dei casi sono disoccupati da oltre 12 mesi (contro il 34,7% del totale dei beneficiari del piano).
Ricordiamo che il supporto per la formazione e il lavoro consiste in una erogazione mensile di 350 euro solo sotto forma di indennità di partecipazione a un percorso di politica attiva. Al 30 giugno i beneficiari di reddito di cittadinanza con una misura di politica attiva “avviata o proposta” (non si sa in che misura l’una o l’altra) erano solo il 39% degli iscritti a GOL.
Il rischio quindi che decine di migliaia di persone si ritrovino senza il sussidio e anche senza l’indennità prevista, a causa dell’assenza di proposte di politica attiva, è elevato. Ed è tanto più elevato nelle regioni d’Italia nel quale si concentra la maggior parte dei beneficiari e dove le politiche attive sono più complesse a causa di minori opportunità formative e di lavoro. Regioni dove infatti le performance già drammatiche di cui abbiamo detto sono ancora più basse.
I tempi per invertire la rotta ormai non ci sono, quello che occorrerebbe fare, in attesa di verificare nei prossimi mesi il fallimento di un modello che sconta una grave distanza tra l’impianto politico e la realtà socio-economica italiana, è implementare il numero di proposte di politica attiva.
Ma sappiamo che si tratta di una azione che non può essere unicamente governata dalle istituzioni pubbliche, perché da sole non possono pensare di aumentare la domanda di lavoro da parte delle imprese, né intervenire in poco tempo sulla qualità e sulla quantità dei percorsi formativi offerti ai beneficiari. Occorrerebbe un radicale ripensamento del sistema delle politiche attive nel nostro paese, che parta da una maggior territorializzazione a fronte del potenziamento non solo dell’organico dei centri per l’impiego (che sta lentamente avvenendo) ma dei loro modelli organizzativi. T
erritorializzazione che necessita, per funzionare, di uno sforzo da parte di tutti gli attori locali, non solo pubblici. In una situazione di scarsità di persone che non potrà che peggiorare a causa del trend demografico, tutti avrebbero l’interesse a fare il possibile per inserire nel mercato del lavoro in modo efficiente le persone che un lavoro non ce l’hanno e che potrebbero lavorare. L’alternativa è il dilagare dell’informalità, della lotta per la sopravvivenza e della ricerca di espedienti quotidiani. Davvero vogliamo questo?
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