«Una sciagurata rincorsa a destra», è la bollinatura senza appello che arriva da fonti di Forza Italia, come unica spiegazione del voto di ieri alla Camera che ha sancito il no esplicito dell’Italia alla ratifica del Mes ma anche una spaccatura altrettanto netta nella maggioranza. Lega e Fratelli d’Italia, rincorrendosi su posizioni estreme, si sono espressi contro la ratifica, FI e Noi moderati invece si sono astenuti, tenendo fede alla loro collocazione europea nel Ppe e alle posizioni favorevoli al meccanismo di stabilità espresse anche in campagna elettorale.

La giornata era iniziata con l’auspicio, anche di una quota della maggioranza, di poter arrivare a un ennesimo rinvio del voto. Invece, sin dalla mattina in commissione Bilancio, si è capito che la giornata prima della chiusura per le vacanze natalizie sarebbe stata da ricordare. La maggioranza ha deciso di far arrivare in aula a Montecitorio il ddl che proponeva la ratifica del Mes – presentato dalle opposizioni e fatto slittare con continui rinvii da luglio – con il parere negativo proposto dalla capogruppo di Fratelli d’Italia in commissione, Ylenja Lucaselli.

Poi a mezzogiorno in un’aula, senza che nessun ministro del governo fosse presente, la proposta di ratifica è stata bocciata con 184 voti contrari (Lega, FdI e M5s), 72 favorevoli (Pd, Azione, Iv e +Europa) e 44 astenuti (Avs, Forza Italia e Noi moderati).

Il passo è uno di quelli da cui non si torna indietro e avrà inevitabili riverberi anche a livello europeo, proprio all’indomani della sottoscrizione italiana della revisione del Patto di stabilità. In questo modo, infatti, l’Italia blocca l’entrata in vigore delle modifiche per tutti gli altri paesi che hanno invece sottoscritto il trattato internazionale. Una scelta, questa, che mette in posizione ancora più scomoda il ministro all’Economia, Giancarlo Giorgetti.

La maggioranza

Quanto andato in scena prima in commissione e poi in aula è stato la dimostrazione plastica degli effetti sulla maggioranza di una campagna elettorale per le europee che si preannuncia fratricida. Sia la Lega che FdI hanno voluto intestarsi quella che entrambi vogliono far passare come una propria vittoria.

«Pensionati e lavoratori italiani non rischieranno di pagare il salvataggio delle banche straniere», è l’esultanza di Salvini, che da settimane martellava per il no al Mes, anche a costo di mettere in difficoltà la premier Giorgia Meloni nei suoi negoziati europei. Al netto delle dichiarazioni, tuttavia, è evidente che una rottura del fronte del centrodestra c’è stata e non può trattarsi di un passaggio indolore.

«Il centrodestra si è diviso ma non si è spaccato», è la lettura minimizzante di un deputato di Fratelli d’Italia, che cerca di guardare il bicchiere mezzo pieno: il no della Lega era scontato «e anche quello di FdI» (nonostante nel corso delle settimane fosse trasparita la volontà della premier di aprire un dialogo sul Mes a fronte del via libera a qualche modifica al Patto di stabilità), e tutti si aspettavano l’astensione di Forza Italia e dei Moderati.

«Un problema sarebbe stato se loro avessero votato a favore», è il ragionamento. In altre parole, si sarebbe trattato del compromesso migliore e «la maggioranza ha votato secondo la propria coscienza» ha detto il capogruppo FdI Tommaso Foti, che guida il fronte di chi prova a ridimensionare il più possibile gli effetti del voto.

Suo malgrado, Forza Italia ha scelto di piegarsi pur di non spezzare la maggioranza. «FI sostiene che il Mes è uno strumento che va migliorato ma che non è in ogni caso un’urgenza del paese», ha provato a spiegare il capogruppo azzurro Paolo Barelli, motivando la scelta di astenersi invece che di votare a favore. Trapela tuttavia molto fastidio da parte della componente più liberale degli azzurri, che avrebbe voluto far pesare di più le posizioni di FI. «L’astensione per sua natura ha il peso della carta velina», è la sintesi.

FdI avrebbe preferito rinviare ancora il voto, ma la forzatura della Lega nello sfidare gli alleati sul no e il nervosismo post Patto di stabilità avrebbero innescato lo scatto in avanti. Del resto, che il clima fosse molto teso è stato subito evidente in aula, con toni aspri soprattutto da parte di FdI, tanto da impedire di parlare al moderato Maurizio Lupi. Alcuni deputati meloniani, infatti, sono scesi dai loro banchi per andare a urlare sotto quelli del Movimento 5 stelle (che come loro ha poi votato contro il Mes), rimediando una reprimenda del collega Fabio Rampelli che presiedeva l’aula.

Le conseguenze

La parola d’ordine tra i ranghi di FdI è “minimizzare”, a partire da Meloni. Fonti di palazzo Chigi fanno filtrare che «il governo, che si era rimesso al parlamento, prende atto del voto dell’aula di Montecitorio sulla scelta di non ratificare la modifica al trattato Mes». Tradotto: il governo intende tenersi lontano dal mezzo pasticcio di Montecitorio, accettando l’esito e sperando di farlo dimenticare con il Natale.

Inoltre, il Mes è ancora in «piena funzione nella sua configurazione originaria», è il ragionamento, e il voto italiano «può essere l’occasione per avviare una riflessione in sede europea su nuove ed eventuali modifiche al trattato, più utili all’intera Eurozona», si arriva a ipotizzare. Una speranza che rimane l’ultima a morire ma che molto difficilmente potrà realizzarsi. Non a caso, il più in difficoltà è il ministro Giorgetti, di cui le opposizioni hanno chiesto le dimissioni perché «sbugiardato dalla sua maggioranza».

Il titolare di via XX Settembre si è chiuso nel silenzio, ma fonti del centrodestra lo definiscono «assai risentito» per quanto accaduto: il no, infatti, ha mandato all’aria mesi di tentativi di portare il governo a sottoscrivere il Mes per semplificarsi la vita in Europa. Con il risultato di lasciare l’Italia targata Meloni con un accordo insoddisfacente nel Patto di stabilità e in una posizione di isolamento nel panorama economico internazionale.

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