Raffaele Fitto l’ha definita «operazione verità», ma il parziale smantellamento del Pnrr con il definanziamento da 16 miliardi rischia di essere soprattutto un velo squarciato sulle difficoltà del governo e sulle frizioni dentro la maggioranza.

Incassata la terza rata dopo mesi di verifiche europee sullo stato di avanzamento del piano, l’esecutivo avanzerà a Bruxelles la richiesta di cancellare una parte del Pnrr in particolare dedicata a comuni ed enti territoriali, con l’obiettivo di rifinanziare gli stessi progetti attraverso altri fondi europei con date di scadenza meno ravvicinate rispetto al 2026. «Il rischio altrimenti è di dover restituire i soldi», ha detto chiaro e tondo Fitto. Spiegare la scelta sul piano comunicativo e farla digerire politicamente a comuni e regioni (sempre che l’Ue accetti), però, è la vera impresa che ricade tutta sulle spalle della presidente del Consiglio Giorgia Meloni e del suo ministro.

Nello schema di riparti di competenze interni all’esecutivo, infatti, il capitolo Pnrr è un cerino acceso e in mano a Fratelli d’Italia e che Lega e Forza Italia sono ben contenti di lasciargli. Sebbene i tagli interessino anche altri ministeri, uno su tutti quello delle Infrastrutture e dei Trasporti di Matteo Salvini, il ministro si è guardato bene dall’intervenire sul tema e lo stesso hanno fatto i colleghi azzurri.

Da parte degli alleati, infatti, si sono registrate sporadiche dichiarazioni generiche di appoggio all’operato di Fitto - lasciato solo ai banchi del governo anche durante la sua comunicazione alla Camera - ma nessuna considerazione di merito.

Del resto, come ha ricordato in aula l’ex ministra del governo Draghi e oggi deputata di Italia Viva, Elena Bonetti, Lega e Forza Italia non sarebbero nella posizione di criticare l’impianto di un piano che hanno contribuito ad approvare. Entrambi i partiti, infatti, hanno fatto parte dell’esecutivo tecnico e non certo in posizioni defilate: all’epoca, il titolare del ministero dello Sviluppo economico era l’attuale ministro dell’Economia, il leghista Giancarlo Giorgetti.

A FdI, che dall’opposizione aveva contestato fortemente il Pnrr e che al governo si è appropriata della cabina di regia, spettano quindi ora gli oneri e gli onori. In questa fase soprattutto gli oneri, vista anche la volontà accentratrice di Meloni rispetto alle dinamiche della diplomazia europea. Il rischio, poi, è che la mossa sul Pnrr comprometta lo scenario macroeconomico in vista della prossima legge di Bilancio. Come ha scritto l’ufficio parlamentare di bilancio nella nota di congiuntura di agosto, infatti, le previsioni sono di un leggero incremento dell’occupazione e di una riduzione dell’inflazione, ma l’economia italiana rimane «nel complesso soggetta a rischi» e su cui pesa il «rilevante fattore di incertezza» dell’«evoluzione del Pnrr per il quale il governo ha recentemente proposto alcune modifiche».

Il gioco della Lega

Delle difficoltà di FdI sul Pnrr stanno approfittando entrambe le anime delle Lega, sia quella nazionale guidata da Salvini che quella territoriale dei governatori Luca Zaia e Massimiliano Fedriga. Se Salvini si sta godendo lo spettacolo delle difficoltà del duo Fitto-Meloni di spiegare quello che è concettualmente difficile chiamare in modo diverso da taglio ai fondi, gli enti locali sono invece pronti a un attacco frontale.

Il vero passo falso di Fitto, infatti, è che la rimodulazione del Pnrr non è stato in alcun modo condiviso con la Conferenza delle Regioni, e dunque con le realtà territoriali che verranno penalizzate dal taglio e che non hanno ancora ricevuto garanzie del rifinanziamento del progetti. Come ha certificato anche il Centro studi della Camera, infatti, il governo non ha ancora individuato in modo puntuale dove verranno reperiti i 16 miliardi di progetti definanziati, ma che comuni e regioni hanno già iniziato ad avviare con bandi e assegnazioni di gare.

Su questo punto sono pronte a dare battaglia soprattutto le regioni del Nord, con un asse Zaia-Fedriga che coinvolge anche l’Emilia Romagna di Stefano Bonaccini. Quando si tratta di risorse, infatti, i governatori si muovono uniti a prescindere dagli schieramenti di governo.

«Alla fase di elaborazione del documento di revisione non abbiamo lavorato», ha detto il presidente della Conferenza delle Regioni, il leghista del Friuli Venezia Giulia, Massimiliano Fedriga, ma «le Regioni sono pronte a collaborare per il processo di rimodulazione del Pnrr» e anzi lo ritengono «fondamentale per il successo degli interventi». La richiesta delle regioni, che suona ancora più perentoria perché arriva da un governatore che è anche dirigente di uno dei partiti di governo, è di un confronto con Fitto per individuare «le misure oggetto di revisione o di stralcio dal Pnrr, fonti di finanziamenti afferenti alle politiche di coesione» e «assicurare un allineamento con le progettualità e le programmazioni regionali già avviate».

Le parole di Fedriga sono un avvertimento a cui presto dovrebbe aggiungersi un documento redatto dalla Conferenza delle Regioni e che elenchi criticità e perplessità sul nuovo piano di Fitto, vista la mancanza di una adeguata copertura al definanziamento che, secondo i governatori, potrebbe provocare «un rischio blocco dei cantieri».

Se si arrivasse a questo, il governo non potrebbe più negare che un problema esiste e va risolto. Non a caso Fitto ha tentato di allargare il fronte, dicendo che le risorse verranno trovate «insieme al ministero dell'Economia» del leghista Giorgetti. Una collaborazione che però rischia di non essere facile: dai tecnici di via XX Settembre, infatti, filtrano da tempo malesseri rispetto alle iniziative di chi si occupa del Pnrr.

© Riproduzione riservata