Raffaele Fitto ci ha provato, con quasi un’ora di intervento, a convincere che le modifiche del governo al Pnrr con la cancellazione dal piano di circa 16 miliardi «non comportano alcun definanziamento» ma «gli interventi andranno avanti regolarmente».

Un tentativo di tranquillizzare i comuni e le amministrazioni regionali che una parte di quei fondi li hanno già iniziati a investire e ora temono di ritrovarsi con gare bandite e lavori iniziati ma senza risorse per pagarli. Eppure, il rischio che questo succeda è alto.

A smentire il ministro con la delega al Pnrr, infatti, è arrivata la relazione del centro studi della Camera pubblicata il giorno prima della sua audizione.

Il dossier

Nel dossier si legge che il rapporto presentato dal governo Meloni all’Ue non specifica «quali saranno gli strumenti e le modalità attraverso i quali sarà mutata la fonte di finanziamento delle risorse definanziate dal Pnrr».

Tradotto: il governo non sa ancora da quali altri fondi reperire i 16 miliardi cancellati. «La determinazione di tali strumenti e modalità appare opportuna soprattutto con riguardo ai progetti che si trovano in stadio più avanzato, in ragione dei rischi di rallentamenti o incertezze attuative che potrebbero conseguire al mutamento del regime giuridico e finanziario e del sistema di rendicontazione cui tali misure sarebbero sottoposte», continua la relazione del centro studi.

I fondi europei, infatti, non sono intercambiabili: quelli del Pnrr sono concessi a certe condizioni, quelli dei fondi strutturali europei, per esempio, ne anno altre.

Anche perché – concludono i tecnici della camera – «tale determinazione appare fondamentale al fine di verificare che le fonti alternative di finanziamento dispongano di una adeguata dotazione di competenza e di cassa nell’ambito del bilancio dello Stato», cioè che questi fondi siano sufficienti a coprire l’intera somma.

L’unica concessione al governo è che effettivamente un’indicazione «seppur di massima», delle fonti alternative di finanziamento è indicata nella terza relazione sullo stato di attuazione del Pnrr: le risorse del piano nazionale complementare, quelle dei fondi strutturali europei e quelle del fondo sviluppo e coesione. Su quante e quali somme vadano riallocate su ciascun canale, però, non ci sono indicazioni più precise.

Le uniche certezze messe nero su bianco sono quali fondi spariranno:

  • 6 miliardi destinati alla valorizzazione del territorio e l’efficienza energetica dei comuni;
  • 3,3 miliardi di rigenerazione urbana contro il disagio sociale;
  • 2,5 miliardi di rigenerazione delle aree degradate;
  • 1,3 miliardi contro il rischio alluvioni; un miliardo destinato all’utilizzo dell’idrogeno;
  • 1,9 miliardi totali di potenziamento delle aree interne, beni confiscati e impianti innovativi per l’energia e valorizzazione del verde.

Fitto ha continuato a ripetere che «vogliamo portare a termine tutti i progetti» e che «insieme al ministero dell'Economia e finanze troveremo la collocazione nel raccordo con i programmi della coesione», invitando a considerare il Pnrr un progetto del paese e non appannaggio esclusivo del governo.

Al netto dei buoni propositi, però, il ministro non ha ancora potuto fornire all’Anci le «garanzie» che il presidente Antonio Decaro richiede da giorni sul fatto che in ogni caso tutti i progetti rimarranno finanziati. Anche a costo di utilizzare fondi nazionali, è il sottinteso su cui il governo però ad oggi non può impegnarsi, vista la mole degli investimenti.

Le opposizioni

Su questo dato politico si sono concentrate le opposizioni. «Ci avete messo 10 mesi per decidere la cancellazione di progetti per 16 miliardi», ha detto la segretaria del Pd Elly Schlein, secondo cui «il parlamento è stato esautorato» perché il governo sin qui si è limitato a «comunicazioni d’ufficio» e ha evitato qualsiasi voto preventivo delle camere sulle scelte dell’esecutivo per la riscrittura del piano. Poi la mano tesa: «Siete in difficoltà, se vi fermate coi tagli noi ci siamo. Tifiamo per l’Italia».

Più duro, invece, è stato il Movimento 5 stelle, che pure ha offerto di sedersi a un tavolo ma che con Chiara Appendino ha definito il governo «incapace di realizzare il Pnrr», «state buttando al vento la più grande occasione di sviluppo e rilancio del nostro paese».

La giornata si è conclusa con l’approvazione della risoluzione di maggioranza sul Pnrr, ma senza ulteriori risposte sul punto chiave: dove trovare le coperture per rifinanziare i progetti espunti dal piano. Sarà un problema delle prossime settimane e il vero scoglio per il governo Meloni.

Anche in vista della prossima manovra di Bilancio su cui già pesa il segno negativo del Pil, diminuito dello 0,3 nel secondo trimestre del 2023 rispetto a quello precedente.

 

© Riproduzione riservata