Gli effetti dell’indignazione anticasta

Il fraintendimento populista che spinge Draghi a rinunciare allo stipendio

  • Il Draghi che salva la patria pro bono risponde alla stessa immagine interiorizzata del buon governante promossa da Conte e dai tagliatori di vitalizi, glorifica il civil servant senza macchia e senza 730, esalta lo spirito popolare del leader che parla la stessa lingua dei percettori di reddito di cittadinanza.
  • Il denaro è la prova di un legame fiduciario, è sanzione della responsabilità, e compensare il lavoro è misura di equità. Economisti e politologi si interrogano da tempo sulla questione del compenso per i governanti, concludendone generalmente che stipendio e buon governo vanno spesso di pari passo.
  • Draghi non è scivolato nella bolsa retorica anticasta, merito non da poco, ma ha perso un’occasione per inserire un elemento di normalità nell’estenuante stagione delle poltrone tagliate e delle scatolette di tonno aperte.

Vent’anni di indignazione permanente contro la casta, le poltrone, i vitalizi, i furbetti, le pensioni d’oro e quant’altro ci hanno regalato infine anche la rinuncia del premier Mario Draghi al compenso da presidente del Consiglio. Quando si dice il progresso. Il gesto è fatto per essere detto: è quasi quello che i linguisti chiamano un “atto performativo”, un’azione che non descrive uno stato delle cose ma esaurisce il suo senso nel fatto stesso di essere proferita. Draghi non si è fatto ce

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