«Il riferirsi a sé stessi è una delle caratteristiche dei tempi moderni che ha mosso i suoi primi timidi passi, probabilmente, da quando Cartesio ha pronunciato il fatidico anatema “Cogito ergo sum”», p. 2; «Abbiamo suon di politici e di intellettuali», p. 4; «si sono dimostrate prive di alcun fondamento», p. 40; «hanno tentato di divellere cancelli e recinzioni e hanno ingaggiato le forze dell’ordine con lanci di pietre, sassi, petardi e bombe carta», p. 43; «sbagliare è umano ma imperversare è diabolico», p. 70; «Non era poi così raro […] trovarsi a giocare in gruppi di marmocchi, […] con i quali ci rotolavamo e arruffavamo insieme in qualche parco della capitale», p. 89 (vi spettinavate a vicenda, anziché azzuffarvi?); «ci fermiamo ai bordi della strada e i due agenti, scesi dall’auto, ci salutano cordialmente e cominciano a questionarci su che cosa facessimo, chi fossimo, dove andassimo», p. 137 (forse interrogarci?; questionare è sinonimo di discutere, dibattere, polemizzare); «Non so quanti ladri vengano effettivamente perseguitati dalla giustizia», p. 144 (semmai perseguiti); «conosco personalmente altre persone che, pur avendo il passaporto tricolore, non spiaccicano più di un “Ciao? come stai?” nella nostra lingua», p. 226 (lo spiaccicano a terra?); «il mondo reale […] è spesso diverso da quello che percepiamo e ce ne rendiamo conto ogni giorno, subendo delusioni e frustrazioni che progressivamente, e col tempo, collimano la cognizione che abbiamo del mondo con quello che è realmente», p. 277; «se tutta la popolazione umana diventasse vegana, seguendo le auspicate degli animalisti […], la superficie terrestre attualmente dedicata all’agricoltura non basterebbe più per sfamare bestie e sapiens», p. 344. La poesia manzoniana Marzo 1821 viene ingigantita alle dimensioni di un poema (p. 94). Leonardo e Michelangelo sono immaginati sorseggiare un cappuccino in un’epoca in cui era sconosciuto anche l’espresso: «Quando ammiri il David o la Gioconda […] non te ne frega una cippa se chi li ha compiuti preferiva le bionde con i capelli corti o se al caffè prediligeva il cappuccino», p. 253 (preferiva, non prediligeva). L’eresia, forse per i troppi battacchi (p. 269), diventa eretismo, un termine disusato indicante uno stato di ipereccitabilità (cardiaca, psichica, ecc.): «Che a partire dal Medioevo sino all’età moderna l’omosessualità fosse perseguita non mi stupisce poiché, nello stesso periodo erano considerati gravi delitti la blasfemia, l’eretismo, l’adulterio» (p. 236).

***

Quelle elencate sono solo alcune delle innumerevoli perle inanellate nel libro di Roberto Vannacci (Il mondo al contrario), cui non basta sfigurare il lessico, distorcere il significato delle parole, violentare le espressioni idiomatiche (per non parlare della storia): il generale, in un volume scritto coi piedi, perde per strada i soggetti, deforma il francese e il latino, litiga con l’interpunzione e con l’ortografia, coi tempi e coi modi verbali, con le reggenze e gli accordi grammaticali, con gli avverbi e le preposizioni, coi collanti e i connettivi testuali. Ebbene, incredibile ma vero, in forza dello sgangherato saggio di cui parliamo, un’indigesta accozzaglia di pericolosi luoghi comuni, sarebbe stato assegnato all’autore, se le cose non fossero andate come sono poi andate, perfino un premio per l’insperato successo editoriale ottenuto. Il contesto, e siamo al parossismo (il generale, ormai è risaputo, rivendica nel libro il diritto di odiare e disprezzare le minoranze “anormali”), sarebbe stata addirittura una conferenza sulla pace.

Il 24 novembre, in un’aula del Senato della Repubblica (la Sala Zuccari), il generale Vannacci avrebbe dovuto ricevere uno dei sei Leoni d’Oro «per la carriera, l’impresa e le arti» – così il comunicato stampa – che sarebbero stati consegnati nella mattinata; altri due andranno al regista Enrico Vanzina e a Gian Marco Chiocci, direttore del Tg1. Il riconoscimento non ha nulla a che fare con la statuetta assegnata al miglior film alla Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica della Biennale di Venezia, ma è pur sempre un premio. Promotore della manifestazione è il senatore questore Antonio De Poli, presidente di un raggruppamento parlamentare costituitosi il 18 ottobre 2022 (comprende il Gruppo Civici d’Italia, Noi Moderati e il Movimento Associativo Italiani all'Estero, ed è parte integrante della maggioranza di centro-destra). Fu lui, il 24 febbraio 2023, ad aprire i lavori per un’altra premiazione organizzata, sempre in Senato, dal soggetto curatore dell’iniziativa, realizzata in collaborazione con la Fondazione Foedus e col gruppo editoriale Armando Curcio.

Vannacci festeggia su Facebook il conferimento del premio

La manifestazione è il Gran Premio Internazionale di Venezia, omonimo di quello istituito nel 1947 e rimasto tale fino all’anno successivo (per poi diventare Leone di San Marco fra il 1949 e il 1953 e Leone d’Oro dal 1954). Leggo sulla home page del sito dell’organizzazione: «Un premio per chi si è distinto contribuendo alla crescita del nostro paese». Come non bastasse, in un virgolettato riprodotto nel comunicato stampa in cui non manca di rivendicare l’eredità del riconoscimento del 1947, l’avvocato Maurilio Prioreschi, l’attuale presidente del Gran Premio, ha dichiarato: «Il Leone d’Oro […] è un simbolo, un emblema dell’Italia che merita. Lo spirito che ci entusiasma è lo stesso e dava linfa ai pionieri che oltre 75 anni diedero vita a questa grande avventura: la volontà di consacrare le nostre eccellenze. Crediamo che le nuove generazioni abbiano bisogno di punti di riferimento. I nostri appuntamenti, lungi dall’essere semplici premiazioni, vogliono tentare di offrire dei “ritratti” di […] grandi personalità, in modo che i nostri giovani possano trovare in loro un modello, l’esempio di un futuro possibile». Non oso neanche pensare al modello rappresentato per i giovani, e all’entità del contributo portato alla crescita e al futuro dell’Italia, dal volume di Roberto Vannacci.

Presidente onorario del Leone d’Oro per la pace (nato nel 2017) è l’ex ministro Mario Baccini, oggi sindaco di Fiumicino. A presiedere il Leone d’Oro – ne è stato insignito il 2 ottobre scorso a Venezia, nel Palazzo della Regione, anche l’imprenditore Ugo Cilento – è invece Sileno Candelaresi, che ha giudicato l’assegnazione del premio, parlando a nome del Comitato organizzatore, un onore e un privilegio (ancora dal comunicato stampa). È lo stesso intervistato dal programma televisivo “Le Iene” in un servizio nella primavera del 2019, perché, nelle vesti di direttore artistico del medesimo premio (il presidente era al tempo Leopoldo Lombardi, che disse di non saper nulla del doppio riconoscimento e indicò in Candelaresi il responsabile della decisione), ne aveva assegnato uno alla carriera a Lele Mora e a Luciano Moggi. Il tutto sempre in un’aula del Senato.

In un tweet del 19 ottobre Ivan Scalfarotto, senatore di Italia Viva, annunciò la presentazione di un’interrogazione parlamentare al Ministro dell’Istruzione sull’adozione da parte di una docente d’italiano, Giulia Schiavone, in una classe terminale del liceo statale Ribezzo della provincia di Brindisi, del libro di Vannacci. La professoressa, intervistata dall’emittente televisiva Antenna Sud, omettendo di elencare col resto proprio i temi controversi del “saggio”, dichiarò: «Il libro di Vannacci consente […] di […] parlare di diversi campi, dalla famiglia alla patria, […], all’ambiente, l’energia. […] Questi sono d’altra parte i capitoli del libro». La lettura del volume del generale sarebbe dovuta avvenire in una classe della sede del liceo di Francavilla Fontana, a indirizzo scientifico (con opzione scienze applicate; la seconda sede dell’istituto, il cui indirizzo sono le scienze umane, è a Latiano). Ecco il testo del tweet di Scalfarotto: «Pare che in un liceo della provincia di Brindisi si sia deciso di adottare come libro di testo lo scritto omofobo e razzista scritto da Vannacci. L’obiettivo è quello di lavorare sulla libertà di pensiero, dicono le autorità scolastiche. Capisco. Immagino che per il prossimo anno scolastico, per il corso di perfezionamento, si passerà direttamente alla lettura del “Mein Kampf” di Adolf Hitler. Nel frattempo io ho presentato un’interrogazione al ministro Valditara, anche per capire se qui non si stia violando l’art. 604 del codice penale che punisce “con la reclusione fino ad un anno e sei mesi o con la multa fino a 6.000 euro chi propaganda idee fondate sulla superiorità o sull’odio razziale o etnico”». Dietrofront della scuola. L’iniziativa viene sospesa.

La storia (fortunatamente) si è ora ripetuta. Appena vengo a sapere del premio da assegnare a Vannacci faccio un po’ di telefonate di approfondimento. Ricontatto stamattina, dopo una chiamata “esplorativa” effettuata nella giornata di ieri, la segreteria del senatore De Poli, cui avrei voluto strappare una dichiarazione sulla premiazione al generale. Non passa mezz’ora che mi chiama Candelaresi. Mi annuncia che Vannacci non sarà premiato. Alle 11.20 ricevo da lui via WhatsApp un comunicato stampa col nome del generale semplicemente cassato, come se non fosse accaduto nulla. Neanche il fegato di fare ammenda, mettendo nero su bianco il passo indietro e spiegandone i motivi.

Intanto perfino Mario Giordano, dalle colonne della “Verità”, si è smarcato dal generale. Sostenuto ancora alacremente – è stato così dall’inizio – da Gianluigi Paragone e dalla sua Italexit.

Il comunicato stampa degli organizzatori prima dello sbianchettamento del nome di Vannacci
Il comunicato stampa del 22 novembre senza il nome di Vannacci

 

© Riproduzione riservata