Le parole di Giuseppe Conte a metà pomeriggio del 4 ottobre non escludono niente: «Questo è il tempo della semina del Movimento. Valuteremo sui ballottaggi se ci sono le condizioni per continuare un dialogo. Sicuramente non possiamo convergere col centrodestra».

Nella lingua fumosa dell'avvocato è un passo verso il Pd, se non un apparentamento, almeno una simpatia. È tutto quello che rimane a Conte in queste amministrative: intestarsi il risultato di Gaetano Manfredi a Napoli, dove il Movimento è vicino al Pd, seconda lista più votata nel ricco ventaglio di formazioni a sostegno dell'ex ministro.

Scende nel capoluogo partenopeo Luigi Di Maio, che mette la firma sotto un risultato portato a casa nella sua regione, da sempre generosa con i Cinque stelle.

Caduta libera

Anche Conte non può che puntare sul voto partenopeo, altrove i numeri del Movimento sono una tragedia: prende il 3 per cento a Milano, così come a Bologna, mentre a Torino, dopo cinque anni di governo, i Cinque stelle si fermano sotto il dieci per cento. Virginia Raggi spera fino all'ultimo in un terzo posto.

Nelle ultime ore prima della chiusura delle urne le chat dei parlamentari tacciono, anche dopo le prime proiezioni fuori dal Movimento filtra il minimo indispensabile, dentro la rabbia inizia a montare: le attese erano piuttosto basse, ma «ora germoglieranno i mal di pancia contro Conte . Certe libertà non saranno più tollerate, come per esempio l'appiattimento totale della comunicazione sul neopresidente», dice un deputato al primo mandato.

Dopo che il presunto “effetto Conte” non si è materializzato, lo scontento a lungo represso sale in superficie. «I contiani ora vorranno intestarsi il risultato napoletano e lanciare l'alleanza con centrosinistra come unico modello vincente», dice un deputato. «Conte insisterà anche sul fatto che i candidati scelti da lui sono stati i più premiati, ma questo non vale per esempio per Layla Pavone a Milano».

Il leader del Movimento è stato volutamente vago sui possibili apparentamenti: darli per certi scontenterebbe la base, ma senza una merce di scambio l’alleanza col Pd avrebbe difficoltà a decollare. «L’unica possibilità che potrebbe essere digeribile agli attivisti che hanno fatto campagna elettorale contro la sinistra negli ultimi mesi sarebbe un sostegno a lunghissimo termine per cui il Movimento a un certo punto entri nella giunta di sinistra come avvenuto già in Lazio e in Puglia», spiega un altro deputato.

Improbabile che ciò accada per esempio a Torino, dove Valentina Sganga è l’unica che raccoglie il consenso che anche gli ultimi sondaggi le attribuivano: al ballottaggio però può fare la differenza per Stefano Lorusso, il candidato del centrosinistra.

Bilancio e Quirinale

Ma la trattativa tra Pd e M5s si muove su altri livelli. Quello che emerge dalla giornata di ieri è che a Conte i territori interessano molto meno di un paio di passaggi parlamentari molto delicati come la legge di Bilancio e l’elezione del presidente della Repubblica. Il presidente dei Cinque stelle senza gli apparentamenti non ha molto da offrire a Letta, ma il suo patrimonio sicuramente non è ora, come non è mai stato, nei voti sul territorio. Conte può solo offrire consensi preziosi in parlamento, dove dovrà presto schierarsi sulle due questioni.

Quel che è certo è che per Conte imporre una linea del genere al Movimento significa mettere in conto un certo margine di dissenso interno. I parlamentari hanno già sofferto la sua linea personalistica, ma non hanno alternative per sostituirlo. Al momento non possono fare altro se non restare in ballo, o andarsene, come hanno già fatto in tanti negli ultimi mesi.

Da Milano Davide Casaleggio ha detto la sua immediatamente, sottolineando come il 4 ottobre, compleanno del Movimento, fosse il giorno migliore per «rinsaldare le radici». Il santo del giorno, Francesco, secondo il figlio del fondatore è «il simbolo per eccellenza di un Movimento senza contributi pubblici, senza sedi, senza tesorieri, senza dirigenti». Un parere chiaro e atteso, ma a lasciare in polemica il M5s è stato anche Matteo Brambilla, ex capogruppo del Movimento nel consiglio comunale di Napoli, attivista della prima ora, che dice addio con un lungo post su Facebook. Potrebbe essere solo il primo di molti.

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