Di rinvio in rinvio, i proverbiali nodi stanno venendo tutti al pettine. Da quando si è insediata, la strategia della premier Giorgia Meloni è sempre stata quella di procrastinare tutte le questioni spinose o divisive che, se affrontate, avrebbero avuto un prezzo politico. Il risultato raggiunto, tuttavia, è quello di averle lasciate ingigantire, fino a farle diventare petizioni di principio costosissime sul piano elettorale, in vista delle Europee di giugno 2024.

il mes

Il massimo esempio di questo è stata la gestione della ratifica del Mes. Dall’opposizione Meloni aveva fatto la guerra al trattato e da candidata si era lanciata in un «mai col mio governo», che però ha subito inteso essere stato un errore, se guardato dalla visuale più complessa di palazzo Chigi.

A fine giugno erano state le opposizioni a calendarizzarlo in parlamento e all’epoca la scelta della maggioranza è stata quella di rinviarlo ad oltranza, invece di prendere atto del dato politico. Già all’epoca il ministro leghista Giancarlo Giorgetti aveva fatto presente che il tema andava affrontato e si era posto in chiave possibilista e la stessa Meloni aveva abbassato i toni.

Poi però non ha avuto il coraggio del passo definitivo: ratificare il meccanismo europeo di stabilità, disinnescando un fronte europeo (l’Italia è l’ultimo paese che manca per la ratifica e senza tutti gli stati sono bloccati anche nella sua rinegoziazione), anche a costo di doversi rimangiare le dichiarazioni di campagna elettorale.

Invece, Meloni ha scelto di abboccare al gioco della Lega abbarbicata sul no al Mes, ma soprattutto di credere che con l’Ue potesse diventare merce di scambio nella rinegoziazione del patto di Stabilità. Così, di mese in mese si è arrivati alla fine dell’anno e ancora la calendarizzazione non è chiara. Nel frattempo, la Lega ha assunto un atteggiamento ancora più aggressivo nella dinamica di governo, con l’obiettivo di capitalizzarlo nella campagna alle Europee.

Matteo Salvini è pronto a lucrare politicamente su ogni sbavatura politica di Meloni e ora un sì al Mes avrà un costo elettorale infinitamente maggiore di quello che avrebbe potuto avere in estate, infilando così la premier in un vicolo cieco.

Delmastro e Santanchè

La stessa strategia della procrastinazione è stata usata anche per il caso del sottosegretario Andrea Delmastro e della ministra Daniela Santanchè: a fronte di indagini aperte, Meloni ha spostato sempre più in alto l’asticella oltre la quale la loro presenza nell’esecutivo è da considerarsi inopportuna. Anche in questo caso, il rischio è che le due questioni diventino fonte di imbarazzo in campagna elettorale ma anche armi contro Fratelli d’Italia nelle mani della Lega.

Non fanno eccezione anche altre vicende spinose e potenzialmente divisive, su cui una scelta netta di Meloni continua a mancare: a fronte degli attacchi alla magistratura non è ancora stato dato il via libera alla riforma più volte annunciata su intercettazioni e separazione delle carriere; dopo il sì all’autonomia differenziata della Lega è arrivata la zavorra della riforma del presidenzialismo da far correre su un binario parallelo.

Il tutti contro tutti nel centrodestra in vista delle europee, però, renderà questa strategia un boomerang: ogni non scelta di Meloni, che ha scommesso sull’accentramento del potere, diventerà uno strumento contro di lei.

© Riproduzione riservata