Tanto prosegue la luna di miele con l’elettorato dopo il successo alle amministrative, altrettanto il governo mostra nervosismo sui dossier più delicati. Tanto da procedere a colpi di strappi con gli apparati istituzionali, considerati spazi da occupare con propri fedelissimi oppure nemici appena sollevano rilievi tecnici rispetto all’operato della maggioranza.

É il caso della cacciata di Lamberto Giannini dal vertice della polizia un anno e mezzo prima del termine del suo incarico, per dare il posto al nome gradito a Matteo Salvini di Vittorio Pisani. E, specularmente, del silenziamento della Corte dei conti.

A scatenare la reazione è bastato un rapporto critico rispetto al basso tasso di spesa effettiva degli interventi previsti dal piano e ai rischi per la prossima rata di fondi. Detto fatto: il governo ha contestato non il merito dei rilievi, ma la potestà della magistratura tributaria a sollevarli. E ha infilato nel prossimo decreto sulla Pa un emendamento che elimina il potere di controllo concomitante della corte sul Pnrr, oltre che la proroga del cosiddetto scudo erariale, un salvacondotto che limita la responsabilità degli amministratori pubblici ai casi di dolo, escludendo la colpa grave.

Con un doppio sgarbo: gli emendamenti sono stati depositati il giorno prima dell’incontro fissato a palazzo Chigi con i vertici della Corte, di fatto rendendolo inutile, e quello soppressivo dei controlli concomitanti è stato approvato mentre il vertice era ancora in corso. Inutilmente il presidente Guido Carlino, in audizione in commissione alla Camera, ha espresso il parere «contrario» della corte e ne ha spiegato i rischi di costituzionalità, di contrasto con la disciplina europea e anche di aumento dei contenziosi amministrativi. «Il controllo serve a stimolare l’amministrazione a operare meglio», ha detto. L’allergia del governo per sindacati e controlli, però, è stata manifestata anche nei confronti di altre istituzioni.

Anac, pm e Bankitalia

Anche Anac, l’autorità anticorruzione, ha fatto le spese dell’aggressività dell’esecutivo dopo aver espresso perplessità sui nuovi meccanismi di gara d’appalto approvati con il codice dei contratti pubblici. É bastato che il presidente, Giovanni Busia, evidenziasse i rischi connessi all’innalzamento delle soglie per gli affidamenti diretti e per la qualificazione delle stazioni appaltanti. Immediatamente la tensione si è alzata e il ministro delle Infrastrutture Matteo Salvini ne ha chiesto le dimissioni.

In tutti i settori il tic del governo è lo stesso. Quando i pm della procura di Roma hanno aperto l’indagine sul sottosegretario Andrea Delmastro per rivelazione degli atti riservati del Dap su un detenuto al 41 bis, la reazione del Guardasigilli è stata quella di arrogarsi la valutazione sul segreto: «Spetta al ministero definire la qualifica degli atti», aveva detto, accendendo uno scontro con la magistratura che – nella richiesta di archiviazione – ha sottolineato come sia la legge a stabilire la segretezza di un atto e il suo vaglio tocchi al potere giudiziario.

La tendenza a invalidare i giudizi di chiunque non sia parte dell’esecutivo è cominciata subito, già durante l’approvazione della manovra di bilancio. La Banca d’Italia aveva espresso i suoi rilievi critici sull’innalzamento del tetto al contante e limitazione dei pagamenti via pos. In quel caso era stato il sottosegretario Giovanbattista Fazzolari ad andare allo scontro, declassando Bankitalia a voce delle banche private. La sindrome del complotto, però, non cambia la realtà: il Pnrr arranca e i controlli ci saranno. Se non oggi da parte della Corte dei conti, domani da parte dell’Ue.

© Riproduzione riservata