Un re Mida capace di trasformare le sconfitte in un trampolino di lancio dorato per la propria carriera. È affascinante la parabola del figlio di un notabile democristiano pugliese, oggi diventato uno degli uomini più potenti d’Italia. Raffaele Fitto da Maglie, nel Salento, è già Mr. Pnrr, colui che muove le leve del Piano a suo piacimento per conto di Giorgia Meloni. E sogna un posto nella Commissione europea nel prossimo anno.

Definirlo un «perdente di successo», come malignano i detrattori, è fuorviante. È vero che alla elezioni, soprattutto regionali, ha subito pesanti sconfitte, da Nichi Vendola nel 2005 a Michele Emiliano nel 2020, ma ha raggiunto traguardi impensabili per molti, grazie a quella rete di relazioni che, con sapienza dorotea ereditata dalla famiglia, ha saputo cementare.

Ora è alle prese con target e milestone del Piano nazionale di riprese e resilienza, con lo spettro dei soldi delle rate che non arrivano. I ritardi sulla tabella di marcia sono noti e oggi il ministro per gli Affari europei, le politiche di coesione e il Pnrr sarà audito, sulla terza rata dalle commissioni riunite Bilancio e Politiche Ue di Camera e Senato nell’aula dei gruppi parlamentari di Montecitorio. Non ci sarà alcun voto. Il 1° agosto, invece, dovrà riferire in parlamento sulla stato di attuazione del Piano e ci sarà una risoluzione da mettere i voti.

Ieri e oggi Fitto si è lanciato in una full immersion nella cabina di regia a palazzo Chigi. «Sono convinto che nel giro 2-3 mesi avremo un quadro organico per avviare una fase di attuazione concreta che possa non solo risolvere i nodi organizzativi ma mettere in campo una nuova strategia», ha promesso. Ma i malumori abbondano, scontati tra le opposizioni e sottaciuti nella maggioranza. Nessuno in pubblico ha il coraggio di mostrare i muscoli contro di lui.

È uno dei protégé della premier che gli ha affidato un piccolo impero a palazzo Chigi: gestisce le deleghe per il sud, le politiche di coesione e gli Affari europei. Il Pnrr è il pezzo più pregiato di un ministero senza portafogli con uno strapotere più unico che raro.

Sognando Bruxelles

Fitto, con passo cadenzato, tira dritto, pronto a capovolgere – ancora una volta – l’insuccesso, in questo caso del Pnrr, in una spinta verso l’alto. Il gradino seguente porta alla Commissione europea, in quota Meloni. È un sogno, al momento, da coltivare nella consapevolezza di un’agguerrita concorrenza nel centrodestra.

La strategia felpata impone di celare qualsiasi ambizione finanche negli incontri a carattere più privato. Nella sua cerchia della regione natia, la cara Puglia, affiora la bramosia d’Europa che anima Fitto. Ha già esperienze e contatti. È stato il regista dell’ascesa di Meloni al vertice dell’Ecr, il gruppo dei conservatori.

«Con il suo pedigree centrista non può essere visto come uno scatenato antieuropeista», spiega una fonte che conosce bene il ministro. Di destra e rassicurante, per la premier è un’opzione perfetta. Il viaggio in direzione Bruxelles lo caverebbe dall’impaccio di dover mettere la faccia sul possibile naufragio del Pnrr.

Ma questo è il futuro da scrivere. Ora c’è da affrontare il presente, a partire proprio da quel Recovery plan vissuto dal ministro come una specie di male inevitabile. Fosse per lui, riscriverebbe tutto daccapo: «Puntiamo a un allineamento dei programmi con una programmazione unica nei prossimi mesi», ha affermato ieri. In privato lamenta l’eredità ricevuta. Niente di personale verso Mario Draghi e la sua squadra governativa, sia mai.

Da buon democristiano, non vuole rinfocolare lo scontro. Ma Fitto è permeato dal fastidio di dover rispondere di cose fatte da altri. Di tanto in tanto espone il suo sentimento a favore di telecamere. «Non è una narrazione credibile che il Pnrr andasse bene fino a fine ottobre del 2022 e che dopo sia arrivato uno scatafascio», ha scandito qualche settimana fa. Insomma, il problema non può essere solo di questo governo.

E poco male se in questi mesi palazzo Chigi, dopo l’insediamento di Meloni, ha cincischiato sul cambio della governance. Perdendo mesi per placare la propria smania accentratrice.

La terra d’elezione

Il trasloco verso i lidi europei passa per il ritorno alla terra d’elezione, la Puglia, ancora di più il suo Salento. Il primo feudo è Maglie, circa 15mila abitanti in provincia di Lecce, da Salvatore Fitto, padre dell’attuale ministro, democristiano doc più volte sindaco della città per poi diventare presidente della regione. Il rampollo della famiglia ha ricevuto in dote la preziosa rete di relazioni politiche, nonché di consenso elettorale.

È rimasto fedele al principio anche quando la Dc era ormai consegnata agli annali della storia con la fine della prima Repubblica: ha scelto Forza Italia, senza tradire le posizioni moderate. Un insegnamento tornato utile nella capacità di adattamento. Un esperto in resilienza, Fitto, nonostante gli affanni con il Piano di resilienza. È sopravvissuto al tentativo – fallito – di abbattere la leadership di Silvio Berlusconi, un caso unico nella storia politica italiana.

Da Gianfranco Fini ad Angelino Alfano, dopo aver perso il duello politico con l’ex presidente del Consiglio, tutti sono stati condannati alla damnatio memoriae. Fitto no. Ha saputo reinventarsi dentro FdI, facendo dimenticare le liti con il Cav. Ha fatto spallucce di fronte alla clamorosa débâcle delle regionali del 2020. Era partito con i galloni del favorito, per poi perdere male contro Michele Emiliano con un distacco di 8 punti percentuali. Due anni dopo si è ritrovato a essere un ministro potentissimo.

Il 2024 è l’anno cruciale e il riscatto passa da quella terra che gli ha già dato tanti dolori. Ci sono le europee, certo. Ma Mr. Pnrr deve guardare alle comunali: si vota a Bari e Lecce, città fondamentali nel risiko del potere pugliese, oggi amministrate dal centrosinistra con il presidente dell’Anci, Antonio Decaro, e Carlo Salvemini, l’arci-nemico del balneari (è stato il primo a presentare il ricorso contro le proroghe alle concessioni).

Il ministro deve portare in dote lo scalpo dell’avversario di una lobby amica, molto cara alla premier Meloni e al suo partito. Il nome che circola per riconquistare Lecce è quello di un “ritorno al passato”, non proprio adrenalinico: l’ex parlamentare Adriana Poli Bortone, 80 anni il prossimo agosto, considerata in passato la madrina politica di Fitto. Era il riferimento della destra pugliese. Le parabole si sono allontanate, ora possono riavvicinarsi.

La Fitto rete

La rete locale di contatti di Fitto è più attiva che mai. Il suo rappresentante nel barese è il senatore di Fratelli d’Italia, Ignazio Zullo, di Cassano delle Murge, che è stato consigliere regionale in Puglia dal 2005 al 2022, anno del suo primo approdo in parlamento, direzione palazzo Madama, in quota Fitto, ça va sans dire. Tra i due il rapporto è di vecchia data, entrambi sono di estrazione democratica-cattolica.

Così come è rinsaldato il sodalizio con Saverio Congedo, come Zullo deputato di FdI alla prima legislatura, e ora referente in Salento, con lo sguardo rivolto a Lecce. Congedo aveva seguito Fitto nella corsa alle regionali del 2015, nella lista civica fittiana, e poi nell’esperienza di Direzione Italia, il piccolo partito che il ministro aveva fondato senza lasciare tracce. Tra i due c’è stato un periodo di gelo, quando Congedo ha deciso di aderire – nel 2017 – a FdI, lasciando Direzione Italia. Hanno avuto poi modo di ritrovarsi e chiarirsi.

Nella galassia pugliese del ministro gravita Paolo Perrone, ex sindaco di Lecce che di recente è stato nominato presidente dell’Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato, con la benedizione di Fitto e la firma definitiva del suo collega di governo, il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti.

A un piano più basso nella scala di potere, ma pronto a compiere un balzo verso l’alto, c’è Francesco Ventola, capogruppo di FdI nel consiglio regionale pugliese, candidato a un ruolo di primo piano per le regionali del 2025. Ventola è subito accorso a elogiare il suo ministro sulla questione della Zona economica speciale meridionale. «È una delle più grandi operazioni economiche fatte a favore del Mezzogiorno», ha dichiarato. Giusto per ribadire che il re Mida delle sconfitte è una stella polare. In Puglia e non solo.

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