Nemmeno un nome, nemmeno quello del sicario che ha sparato sul viale delle ville liberty di Palermo. Il primo degli italiani, il presidente della Repubblica Sergio Mattarella, ancora oggi non conosce chi ha ucciso suo fratello il giorno dell'Epifania di quarantuno anni fa. È un caso unico per gli omicidi siciliani, dove tutto si sa sugli esecutori e quasi nulla sui mandanti. Dettaglio che non è dettaglio per un delitto di mafia e non di sola mafia, di Cupola ma anche di tanto altro che è sempre mistero profondo.

Lo sparo di un fantasma

L'isola dei “delitti eccellenti” e l'Italia della "strategia della tensione”, boss e neofascisti, poteri che si sostengono per fermare non soltanto il presidente di una Regione ma l'uomo che più di ogni altro voleva una Sicilia “con le carte in regola” e che più di ogni altro aveva raccolto l'eredità di Aldo Moro. Uccisi a distanza di un anno e mezzo, il cadavere del primo abbandonato il 9 maggio del '78 nel cuore di Roma e quei colpi di pistola contro il secondo il 6 gennaio dell'80 nella Palermo più elegante e aristocratica.

Apparentemente due vicende lontane, in realtà una sola vicenda italiana. Voleva il "cambiamento”, cacciare i mafiosi dal suo partito, quella Democrazia Cristiana dove comandavano i Lima e i Ciancimino, voleva pulizia negli assessorati, cercava l'appoggio dei comunisti per il suo governo. Come Moro in Italia. L'inizio di una nuova stagione politica, l'inizio delle sue paure confidate agli amici più intimi, fra i primi il ministro dell'Interno dell'epoca Virginio Rognoni: «Mi accadrà qualcosa di brutto».

Qualcosa di brutto che ha preso le sembianze di un fantasma "di anni 22-24 circa, statura m.1,65, capelli castano chiari, bocca e naso regolari”. È tutto quello che c'è su di lui nel fascicolo sul delitto dell'Epifania, sicario che scompare fra i palazzi di via Libertà mentre il "professore” Sergio Mattarella cerca disperatamente di tirare fuori dalla berlina scura il fratello che si sta spegnendo fra le sue braccia.

Piersanti Mattarella nel 1978 (Agf)

Gli occhi di ghiaccio

«Aveva gli occhi di ghiaccio e procedeva con passo elastico, mi diede l'impressione di un'andatura ballonzonante». Testimonianza di Irma Chiazzese, la vedova di Piersanti. Poi, come sempre, i depistaggi. Ma sul delitto dell'Epifania indaga anche Giovanni Falcone che arriva al convincimento «di una convergenza di interessi fra Cosa Nostra ed eversione nera», un patto che avrebbe portato «alla necessità di rifare la storia di certe vicende del nostro Paese, anche da tempi assai lontani».

Falcone è sicuro: ad uccidere Piersanti Mattarella era stato il capo dei Nuclei Armati Rivoluzionari Valerio “Giusva” Fioravanti, lo rinvia a giudizio con Gilberto Cavallini. Una certezza che si rafforza nei giorni infami dell'Addaura, l'attentato del 21 giugno '89 dove ne esce vivo per miracolo e poi dice: «Ci sono menti raffinatissime..». Ma la Corte di Assise non gli crede. Come poi la Cassazione. I terroristi neri vengono assolti.

L'inchiesta sul delitto Mattarella è ancora lì, aperta e sospesa a Palermo. Tracce disperse. Come sulle sei pallottole estratte dal corpo del presidente della Regione e “comparate” con una Colt Cobra calibro 38 usata da Gilberto Cavallini per l’assassinio di Mario Amato, il magistrato ucciso a Roma il 23 giugno 1980. Pallottole ossidate, nulla da fare. All'ufficio "corpo dei reati” del Tribunale di Roma hanno anche distrutto spezzoni di targhe automobilistiche. Quelle incollate alla Fiat 127 sulla quale fuggì da via Libertà il sicario "con gli occhi di ghiaccio”.

© Riproduzione riservata