L’Italia è una repubblica fondata sul lavoro. Non è solo retorica. Cosa c’è di più vitale, nel patto che tiene insieme una comunità, nel collante che deve far sì che una società non vada in pezzi, della sicurezza che devono avere le persone che lavorano? La sicurezza di non rischiare di morire, all’improvviso, nel modo più drammatico e violento.

Questo patto si è rotto la notte fra il 30 e il 31 agosto: cinque operai, mentre sostituivano delle rotaie, sono stati travolti da un treno in corsa. Una ferita profonda, per un paese che vuol dirsi civile. Inconcepibile.

Com’è possibile che un treno passi su dei binari dove stanno lavorando delle persone? È ovvio che le regole lo vietano (ci mancherebbe). Ma non basta dire «errore umano», purtroppo.

L’uccisione così assurda e straziante di cinque lavoratori chiama in causa un intero modello di sviluppo (hanno ragione i sindacati) accende i fari su quello che siamo diventati a forza di pensare di poter competere svalutando e precarizzando il lavoro: con i subappalti a cascata, il mancato rispetto delle regole, i tagli al personale e l’aumento dei ritmi di lavoro.

È il sentiero del sottosviluppo, dell’illegalità e dello sfruttamento, fallimentare per una grande economia moderna. Ed è un sentiero cosparso di tragedie.

In Italia abbiamo da anni, in media, tre morti sul lavoro al giorno (di cui due in servizio). Vuol dire oltre mille all’anno.

Vi sono alcune oscillazioni, nel tempo, dovute alla congiuntura e all’andamento dei diversi settori dell’economia, ma è un dato di fatto che noi ci troviamo costantemente al di sopra della media europea, in questa «classifica» delle tragedie. In proporzione, nel 2019 avevamo 2,1 morti ogni 100mila lavoratori, un dato significativamente superiore alla media UE (1,7).

Con la pandemia, per via del Covid, la situazione è ulteriormente peggiorata e nel 2020 (oggi l’ultimo anno disponibile per confronti) i numeri sono ancora più impietosi: 3 morti per 100mila lavoratori in Italia, contro poco più di 2 della media europea. Nel 2022, in Italia abbiamo avuto 1090 infortuni mortali sul lavoro, di cui 790 in servizio, un dato in netto aumento rispetto al 2021 (+17 per cento), se escludiamo per quell’anno le vittime da Covid, e analogo a quanto registrato nel 2019.

In Europa spiccano, in positivo, paesi come Germania, Svezia, Olanda: hanno costantemente un numero di morti inferiore all’unità, su 100mila lavoratori. Non è una differenza da poco: vuol dire che di quelle tre persone che muoiono, quotidianamente, in Italia, se fossimo ad esempio in Germania due si salverebbero; ogni giorno. È ovvio che queste differenze fra paesi, continuative e sistematiche, non possono essere imputabili solo a «errori umani».

Sono dovute a differenze nella legislazione e nell’applicazione delle regole, di solito a danno dei più deboli (ad esempio, fra i lavoratori immigrati la percentuale di morti è il doppio).

Peraltro i morti non sono che la punta dell’iceberg, quella più drammatica e vistosa, di un fenomeno assai più ampio: lo sfruttamento dei lavoratori e la violazione delle norme. Restano fuori ad esempio gli infortuni non letali e che per questo spesso non vengono denunciati (mentre ovviamente un morto è molto più difficile da nascondere).

Che cosa sta facendo il governo?

Che cosa sta facendo il governo per contrastare questa situazione? Nulla. Anzi, la sta favorendo. Sta peggiorando le cose. La ministra del Lavoro Calderone viene dal mondo dei consulenti del lavoro (pagati dalle imprese, per la gestione dei rapporti di lavoro) e ha proposto infatti di depotenziare le ispezioni, subordinandole al beneplacito dei consulenti: proprio i controllati diventano i controllori!

Di più, nel nuovo codice degli appalti, entrato in vigore quest’anno, è stato introdotto il subappalto a cascata (cioè il subappalto del subappalto): la Fillea-Cgil denuncia il rischio di aumentare l’illegalità e l’infiltrazione criminale, le zone grigie e gli infortuni sul lavoro. Infine, stiamo sprecando i fondi del Pnrr, una parte dei quali serve proprio per migliorare le nostre infrastrutture.

Invece di fare retorica, il governo dovrebbe agire. Deve invertire la rotta, rispetto a quanto ha fatto finora. Rafforzare le ispezioni sul lavoro, tornare indietro sul subappalto a cascata, non perdere le risorse europee. Se vuole essere il degno governo di un paese civile.

 

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