La super consulenza del virologo Andrea Crisanti depositata in procura nell’ambito dell’inchiesta sul Covid a Bergamo ha messo nero su bianco che se fosse stata istituita prima la zona rossa in Val Seriana si sarebbero potute evitare oltre 4.100 morti.

L’avvocato Fabrizio Ventimiglia, difensore di Luigi Cajazzo, allora direttore generale della Sanità della Regione Lombardia, indagato insieme al presidente Attilio Fontana e all’ex assessore al Welfare Giulio Gallera per epidemia colposa e omicidio colposo plurimo, reagisce. «Non nascondo un certo stupore per la assoluta perentorietà  di alcune dichiarazioni riportate in “virgolettato” dagli  organi di stampa – ha scritto in un comunicato -. Mi riferisco a talune affermazioni rese dal procuratore capo di Bergamo e soprattutto dal consulente tecnico dell’Accusa, senatore Crisanti, che parrebbero suonare come “verità” ma che tale non è, non sono, affatto».

Crisanti, fino a stamattina in un’intervista alla Stampa invece ha ribadito i «problemi consistenti» sull’attivazione del piano pandemico e sulla «tempistica dell'implementazione della zona rossa». La procura, come emerge dall’avviso di conclusione delle indagini, ritiene che non è stato eseguito:« Io ho dimostrato che un piano esisteva e che c’erano una modalità di attuazione e degli organi preposti a questo», ha aggiunto il virologo.

Ipotesi di accusa

LaPresse

Ventimiglia ribadisce che si tratta di «ipotesi di accusa, che eventualmente, all’esito della interlocuzione con le difese, potranno essere portate al vaglio di un giudice, ma non sono certamente oggi verità».  Chiede «cautela, anche terminologica, per non fare passare concetti sbagliati alla opinione pubblica». E ridimensiona: «Non esiste una “perizia” Crisanti, ma si tratta di una mera consulenza di parte che finalmente oggi potrà essere analizzata e fisiologicamente confutata da altri elaborati di parte, al fine di giungere ad accertare semmai una verità processuale».
Una questione di rispetto delle vittime e dei parenti, dice, ma anche per l’opinione pubblica e per gli stessi indagati.
La vicenda del Covid-19, rimarcano, resta «unica, imprevedibile e sconosciuta a tutti» che è stata fronteggiata con impegno e spirito di abnegazione da tutte le Istituzioni, che hanno combattuto contro un fenomeno mai visto prima, rispetto al quale non vi erano conoscenze scientifiche e con dati ed informazioni tra loro spesso contrastanti».

Il piano

Il Piano nazionale di preparazione e risposta per una pandemia influenzale risale al 9 febbraio 2006 e i due dirigenti avrebbero disatteso la sua attuazione. Nello specifico nonostante già il 31 gennaio l’Oms avesse dichiarato il Coronavirus emergenza sanitaria. Allarme a cui si era aggiunto il documento del 4 febbraio 2020 dell’Oms “Strategic preparedness and response plan” col quale si raccomandava di affrontare l'emergenza pandemica anche con i vigenti piani influenzali.

Per la procura di Bergamo, Cajazzo e l’assessore al Welfare Giulio Gallera, avrebbero dovuto occuparsi dell'attuazione del Piano pandemico regionale di preparazione e risposta ad una pandemia influenzale, ma non lo hanno fatto per tempo, causando il diffondersi del contagio e della morte.

L’avvocato risponde che «si potrà interloquire per fornire e documentare anche l’altra ricostruzione dei fatti, rappresentando al contrario di quanto sin qui proposto, come si sia lavorato certamente al meglio delle possibilità e delle conoscenze che vi erano in allora all’epoca dei fatti». 

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