«Ce lo chiede l’Europa». Sì, bene, ma che cosa ci chiede esattamente l’Europa? Nel caso di Ita, la nuova compagnia aerea che dal 15 ottobre ha preso il posto di Alitalia, per il momento è impossibile saperlo.

Il segretario della Cub Trasporti, Antonio Amoroso, ha provato a scoprirlo inviando una formale richiesta alla direzione generale della Concorrenza della Commissione europea. E la Commissione ha risposto gentilmente che per ora il mistero deve restare mistero.

Scrive Eduardo Martinez Rivero, capo unità della direzione Concorrenza: «Poiché la direzione generale Concorrenza della Commissione europea e le autorità italiane coinvolte stanno elaborando una versione pubblica della decisione che non contenga segreti aziendali o altre informazioni riservate, attualmente non è disponibile una versione pubblica del testo».

Voto al buio

(La presidente della Commissione europea. Foto AP)

La decisione relativa a Ita a cui il dirigente della commissione europea si riferisce è quella del 10 settembre, ritenuta un punto di riferimento per ogni passaggio successivo della compagnia, il «ce lo chiede l’Europa», appunto, a cui perfino il parlamento italiano ha dovuto uniformarsi praticamente alla cieca.

A ottobre prima la Camera e poi il Senato hanno dovuto votare la conversione di un decreto in cui si faceva esplicito riferimento alla decisione europea del 10 settembre senza che deputati e senatori potessero prendere visione della decisione stessa.

Stefano Fassina di Liberi e uguali alla Camera e al Senato Gregorio De Falco, ex 5 Stelle e ora gruppo Misto, hanno protestato per questa evidente incongruenza. Fassina ha parlato addirittura di «vulnus all’attività legislativa».

Anche il presidente della Camera, Roberto Fico, ha protestato per questo modo di procedere rivolgendosi direttamente al capo del governo, Mario Draghi, con una lettera.

Fico ha ricordato a Draghi quali sono i termini che regolano l’attività del parlamento italiano quando di mezzo ci sono decisioni dell’Unione europea. In quei casi «il presidente del Consiglio dei ministri o il ministro per gli affari europei comunica alle camere le informazioni o i documenti relativi a tali atti».

E nel caso in cui il governo abbia raccomandato l’uso riservato della documentazione «è consentita la visione ai componenti delle Commissioni competenti presso le relative segreterie senza poterne ottenere copia».

Gli strappi di Altavilla

Non è ovviamente solo un fatto di galateo istituzionale, che pure ha la sua importanza, è soprattutto una faccenda molto concreta. Quella di Alitalia è stata una delle crisi industriali più gravi di questi ultimi anni e per tentare di risolverla il governo ha impegnato 3 miliardi di euro con lo scopo di lanciare Ita, la nuova compagnia.

Il voto parlamentare sul decreto che ha consentito a Ita di partire è stato un momento importante della partita. Con quel decreto governo e parlamento hanno consentito ai nuovi amministratori di procedere come se alcuni vincoli imposti dalle leggi potessero essere messi tra parentesi. E questi strappi sono stati concessi invocando, appunto, la ragione superiore che ce lo chiede l’Europa.

Con il decreto convertito dal parlamento è stato consentito al presidente Alfredo Altavilla e all’amministratore Fabio Lazzerini, cioè a due dirigenti di un’azienda pubblica a tutti gli effetti, di ignorare l’esistenza dell’articolo 2112 del Codice civile, che non è un articolo qualsiasi, ma uno di quelli fondamentali a tutela dei diritti dei lavoratori soprattutto nei momenti di crisi, in presenza di passaggi di ramo d’azienda.

Quella norma stabilisce che quando un ramo d’azienda viene ceduto da un soggetto a un altro, quest’ultimo deve accollarsi il compito di prendere anche i lavoratori insieme ai beni acquisiti. Le attività di Alitalia sono passate a Ita, ma non i lavoratori.

Assunzioni

Dei 10.500 impiegati nella vecchia compagnia solo 2.800 sono stati assunti da Ita, anzi, dovranno essere assunti perché a questo momento quelli in organico sono molti di meno.

Ad Altavilla e Lazzerini è stato inoltre consentito di non applicare il contratto collettivo nazionale di lavoro e al suo posto entrambi hanno fatto valere un regolamento interno imposto unilateralmente con tagli agli stipendi con fino al 40 per cento.

Solo di recente l’anomalia è stata superata, quasi tutti i sindacati tranne Cub, Usb e Navaid hanno firmato un nuovo contratto e a quel punto come per incanto anche molti sindacalisti sono stati assunti. Tutto ciò è stato giustificato con l’alibi che ce l’avrebbe chiesto l’Europa. Anche se nessuno al momento può sapere che cosa l’Europa ci ha chiesto davvero.

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