Le persone cambiano. Quel che eravamo a vent’anni e quel che siamo oggi sembrano fotogrammi di due persone diverse.

Ma vi è una linea che unisce la nostra storia, cosicché siamo riconosciute dagli altri e da noi stesse sempre. Questo vale anche per Gorgia Meloni e la sua tradizione neofascista.

In questi giorni giornalisti e studiosi cercano di rassicurare il mondo (straniero, prima di tutto) che la leader di Fratelli d’Italia se andrà a palazzo Chigi non cambierà la tappezzeria installando simboli fascisti (anche se forse “celebrerà” il centenario della marcia su Roma, il 22 ottobre prossimo).

Lei stessa si è prodigata in “abiure” (questo il termine usato dalla stampa). Ha dichiarato: «La destra italiana ha consegnato il fascismo alla storia da decenni ormai, condannando senza ambiguità la soppressione della democrazia e le infami leggi contro gli ebrei».

E alcuni studiosi hanno concluso lestamente che queste dichiarazioni sono sufficienti a provare la sua evoluzione dal fascismo alla democrazia. Il fascismo però non è solo dittatura (“soppressione della democrazia” del 1925) e antisemitismo di stato (“leggi contro gli ebrei” del 1938).

Non si tratta di gridare al lupo al lupo, anche perché l’Italia è, oggi, avvolta in un reticolo di norme, convenzioni e alleanze internazionali da metterla in qualche modo al riparo dai suoi stessi governanti.

Almeno fino a quando la maggioranza dei paesi occidentali non è governata dagli amici di Meloni.

Le parole non sono prove

Immaginiamo che i paesi occidentali siano governati dai trumpisti, da Le Pen, Vox, Meloni, Orbán, Kaczynski e i loro simili: ci sentiremmo altrettanto sicuri? Allora, se non ci angosciamo per le sorti della nostra democrazia costituzionale, non è per quel che Meloni dice di non essere. 

È perché quelli come lei sono internazionalmente una minoranza. Possiamo tenere un giudizio “neutro” o “avalutativo” rispetto ad un movimento del quale ci fidiamo in quanto resta una minoranza? Le parole di una leader in campagna elettorale non sono “prove”.

Sappiamo bene che il fascismo non è riducibile a quel che successe nel 1925 e nel 1938. L’ideologia fascista e il movimento nacquero prima e proseguirono dopo (con la Repubblica di Salò, dalla quale viene la fiamma del simbolo di FdI).

Ma si presti attenzione alle sbandierate politiche meloniane sulla famiglia e le mamme, al silenzio totale sul lavoro precario e sottopagato, all’odio per i diversi, al perdono degli evasori fiscali e alla flat tax che scaricherebbe il peso sui meno abbienti depauperando le risorse pubbliche per i servizi sanitari e scolastici.

E poi, se giornalisti ed esperti vogliono prendere le parole come “prove”, dovrebbero considerare anche quelle di odio e discriminazione pronunciate da Meloni davanti alla platea dei Vox in Andalusia la scorsa primavera, non solo quelle di “abiura” del fascismo. Il quale è del resto anche un’ideologia, che è fatta di parole.

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