Iscritti in fuga, calo dei contributi del 2 per mille e boom delle spese per la campagna elettorale, che non hanno portato al risultato sperato. Il 2022 si conferma per la Lega un anno nero e con un bilancio in rosso, tanto che il patrimonio netto finisce in negativo di 25mila euro. Ed è un rossonero che non piace affatto al tifoso del Milan Matteo Salvini. Il rendiconto 2022 conferma la crisi profonda del suo partito, iniziata con il Papeete e che continua con costanza.

Il leader leghista non può consolarsi neppure con i pochi dati positivi: una delle situazioni migliori è nel Friuli-Venezia Giulia. Proprio la regione di Massimiliano Fedriga, vero competitor interno del leader. La strategia del follow the money è una mappa che illustra le difficoltà, da Milano a Palermo, del ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti. Così il bilancio economico aumenta la pressione politica sulla leadership e le europee del giugno 2024 diventano un crocevia per evitargli il processo nel partito.

Più spese, meno entrate

La gestione caratteristica (la differenza tra entrate e uscite correnti) della Lega per Salvini premier (Lsp) fa registrare una perdita superiore ai 3 milioni e 600mila euro (8,636 milioni di entrate contro 12,280 milioni di uscite). Nel complesso il disavanzo di esercizio (che include tutte le voci di introiti e di spesa) ammonta a quasi 4 milioni di euro.

Non è bastata la moltiplicazione delle donazioni in campagna elettorale da parte delle imprese, che hanno fruttato 968mila euro in un anno, né sono stati sufficienti i 6 milioni e mezzo giunti dalle elargizioni di singole persone, per lo più parlamentari. La Lega ha impiegato più risorse di quelle incassate. La differenza è in gran parte dovuta agli esborsi per i manifesti elettorali: in totale sono stati investiti 3 milioni e 224mila euro. Salvini non ha badato a spese per piazzare il suo faccione un po’ dappertutto. E, viste le percentuali di consenso, non ha ottenuto il risultato sperato.

A pesare è in particolare la diminuzione dei soldi provenienti dalle quote associative, i soldi portati in dote dagli iscritti, evidentemente in calo. La struttura nazionale del partito salviniano è polverizzata: ha ottenuto appena poco più di 16mila euro, dimezzando i 32mila euro del 2021, quando già c’era stato un fortissimo arretramento. Sono poi diminuite le entrate del 2 per mille, la donazione che ogni contribuente può destinare nella dichiarazione dei redditi. Nel 2021 il bottino leghista ammontava a un milione e 822mila euro, dodici mesi dopo è stato di un milione e 210mila euro.  

La Lsp ha una serie di diramazioni territoriali che rappresentano l’ossatura del partito. Neppure le roccaforti hanno tenuto. Anzi, ci sono stati cedimenti clamorosi. Gli introiti per i tesseramenti in Lombardia sono calati da 358mila a 200mila euro con una perdita secca di oltre il 44 per cento. Anche in questo caso, poi, le spese sono state superiori ai proventi di oltre 200mila euro. E nel Veneto del doge Luca Zaia? Stessa musica, giusto un “meno peggio”. La diminuzione delle quote associative è stata del -25 per cento, passando da 223mila a 166mila euro. Resta il segno rosso pure quanto riguarda il rapporto entrate-uscite: il bilancio della Liga Veneta (nome della branca regionale) segna -677mila euro.

Nel Piemonte del capogruppo alla Camera, Riccardo Molinari, il partito di Salvini è impalpabile. Le entrate dai tesseramenti nel 2022 sono state di 42mila euro con una contrazione del 27 per cento. Numeri che indicano un radicamento sempre più ridotto. La nota lieta sarebbe il Friuli-Venezia Giulia, che va in controtendenza con 27mila euro di introiti per le quote associative: sono più 5mila in confronto al 2021.

Tramonto a Mezzogiorno

Il presidente della regione Fedriga può rivendicare un risultato che gli altri big del partito possono solo sognare. La buona notizia si rivela un grattacapo in più per Salvini che vede rafforzarsi l’unico – potenziale – avversario. Il vicepremier può consolarsi con il suo fedelissimo, Edoardo Rixi. In Liguria ha portato un miglioramento di 8mila euro dei ricavi legati agli iscritti. Un miracolo genovese. Anche altrove i dati sulle tessere sono una mattanza. Nell’Emilia-Romagna, che solo qualche anno fa Salvini sognava di espugnare, si passa da 66mila a 38mila euro di proventi. E ancora, nel Lazio, capeggiato dal pretoriano salviniano Claudio Durigon, si scende da 37mila a 29mila euro.

I bilanci, da quello nazionale ai territoriali, dipingono il quadro del naufragio della “Lega nazionale”, che voleva conquistare il sud. Esempio lampante è la Sicilia: nel 2022 il partito ha raggranellato appena 7mila e 500 euro in confronto ai 35mila euro dell’anno precedente (-78 per cento). La Lega è sparita in terra sicula, così come è residuale in Sardegna, dove i proventi sono in totale di 6mila euro, così come in Puglia e Campania. Nel desolante panorama meridionale solo dalla Calabria arriva un segnale di vitalità. Davvero poco per chi sognava di trasformarsi da erede di Umberto Bossi nel Le Pen italiano.

© Riproduzione riservata