Il vertice c’è stato, anzi no. La notizia di un faccia a faccia tra Giorgia Meloni, Matteo Salvini e Antonio Tajani dai toni piuttosto nervosi per decidere le candidature alle regionali è iniziata a circolare giovedì mattina. E solo dopo diverse ore fonti di palazzo Chigi e anche della Lega sono intervenute per smentire. «Nessun pranzo né incontri per parlare di amministrative», assicura la Lega, solo «un incontro sul tema dell’immigrazione» anche con «il ministro dell’Interno Matteo Piantedosi e il sottosegretario Alfredo Mantovano», precisa Fratelli d’Italia. I tre leader si sono visti, quindi, ma formalmente non per parlare di regionali. Verità o espediente, l’unica certezza è che questo stallo fa guadagnare ancora qualche ora di silenzio nella speranza di trovare un accordo.

Del resto, che le regionali siano la polveriera pronta a esplodere nella coalizione di centrodestra è sempre più evidente da giorni: lo scontro tra Lega e Fratelli d’Italia sulla candidatura in Sardegna non ha ancora toccato i due leader ma è una pura formalità, perché al muro contro muro sono già andati i rispettivi fedelissimi. Attualmente la situazione è «di stallo», dice un dirigente leghista: la Lega ferma sull’uscente Christian Solinas, FdI a sostegno del sindaco di Cagliari Paolo Truzzu.

I tempi sono stretti visto che le candidature si chiudono tra 5 giorni, ma la soluzione non sembra ancora matura. In una nota, il partito di Salvini ostenta sicurezza: «Conferma ottimismo ed è sicuro che il centrodestra troverà un accordo». Quale, però, è impossibile a dirsi.

In questo quadro che vede contrapposti Lega e FdI, a tirarsi fuori è Forza Italia. I dirigenti sanno che mettere in discussione il principio della ricandidatura degli uscenti significa mettere a rischio la conferma di Vito Bardi in Basilicata e di Alberto Cirio in Piemonte.

Le schermaglie sulla Sardegna, infatti, sono il segnale preoccupante di ciò che potrà avvenire nei prossimi mesi con tutte le altre regioni al voto, fino al 2025 quando toccherà al Veneto, se davvero FdI intende mettere in discussione la riconferma degli uscenti.

Il problema Veneto

Proprio il Veneto è il vero punto dolente, che si intreccia anche con le elezioni europee. Il presidente uscente è il leghista Luca Zaia, che da solo con il suo listino nel 2020 ha preso il 44 per cento: secondo l’attuale legge elettorale non potrà più ricandidarsi, dunque per lui una delle ipotesi sarebbe di entrare nella lista della Lega alle europee.

Se così fosse, però, per la guida del Veneto partirebbe il tutti contro tutti: la Lega lo ha già rivendicato, FdI è convinta che gli spetti di diritto e ha già pronto come candidato Luca De Carlo, anche FI ci farebbe un pensiero con Flavio Tosi. Per questo l’obiettivo di Salvini è quello di cementare la situazione: giovedì il segretario della Liga veneta Alberto Stefani ha presentato un pdl alla Camera per estendere a tre il limite dei mandati per i presidenti di regione, definendola «un’operazione di buon senso».

Due articoli secchi, che potrebbero risolvere molti problemi e non solo a Salvini. La Lega, infatti, punta a una rapida approvazione anche con il sostegno del Pd, che ha nella stessa situazione di Zaia Vincenzo De Luca e Stefano Bonaccini. Il via libera da parte di FdI avrebbe potuto essere una compensazione in cambio della Sardegna, ma le intenzioni della Lega per ora sono quelle di non procedere in una logica di scambio.

Secondo fonti di centrodestra, un vertice è atteso entro questa settimana, ma si naviga a vista e lunedì Salvini ha convocato un consiglio federale con al centro proprio regionali ed europee.

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