«Per Giulia bruciate tutto». Nelle parole di Elena Cecchettin, sorella della ventiduenne vittima di femminicidio, riecheggiano gli ultimi versi di una poesia scritta nel 2017 dall’architetta e attivista femminista peruviana Cristina Torres-Cáceres: “Se domani sono io, se domani non torno, distruggi tutto”. Da giorni la frase viene scritta e condivisa su social, muri, striscioni. Il conteggio dei femminicidi dell’anno è già cresciuto a 106: ieri mattina a Fano una donna di 66 anni è stata strangolata e uccisa dal marito. Non si tratta di casi isolati, ma di una questione strutturale.

È con questa consapevolezza che il 25 novembre, nella Giornata internazionale per l'eliminazione della violenza contro le donne, il movimento femminista Non Una di Meno torna per le strade. Non per una commemorazione ma per una giornata di lotta: «Vogliamo una presa di coscienza transfemminista, educazione sessuo-affettiva nelle scuole, rafforzamento dei centri anti-violenza e dei consultori».

Una piazza che Non Una di Meno vuole senza spezzoni di organizzazioni, bandiere e simboli di organizzazioni politiche e sindacali. «L’idea è essere marea, il che significa riconoscere le infinite differenze ma senza far sì che queste diventino una frammentazione identitaria». Nessuno spazio per passerelle politiche. Come ogni anno il corteo sarà aperto dallo spezzone dei centri antiviolenza: «Da un lato è un fatto simbolico e politico, perché sono in prima fila per combattere la violenza e offrire alternative concrete. Dall’altro, è importante perché scendono in piazza le donne che hanno subito violenza, garantiamo uno spezzone in cui possano sentirsi sicure», spiega il movimento.

La manifestazione nazionale per la prima volta si sdoppia: un appuntamento a Roma alle 14.30 al Circo Massimo, e uno a Messina, alle 15 a largo Seggiola. Una circostanza che risponde a un’esigenza dei nodi territoriali siciliani del movimento, per dar seguito alle mobilitazioni nate in estate dopo lo stupro di una diciannovenne da parte di un gruppo di coetanei a Palermo..

I giorni che precedono la manifestazione di sabato sono intrisi di dolore e rabbia per la morte di Giulia Cecchettin, ma anche di un’accesa discussione pubblica su femminicidi e violenza sulle donne. «C’è un'attenzione diversa, anche per l'incredibile capacità di Elena Cecchettin di trasformare il suo lutto in un discorso politico», affermano le attiviste. «Questo ha permesso che alcune parole arrivassero a un pubblico più ampio. E credo abbia trasformato la rabbia e l'indignazione in capacità condivisa e collettiva di riconoscere il senso politico di essere arrabbiate».

Un sentimento che sta coinvolgendo il mondo più giovane, con manifestazioni e iniziative chiamate da gruppi studenteschi all’interno di scuole e università. In numerosi licei e istituti superiori, il minuto di silenzio proposto dal ministro dell’Istruzione Giuseppe Valditara è stato boicottato e trasformato in un “minuto di rumore”. «Le risposte del governo in questo momento tendono a riconfermare la dimensione dell’eccezionalità, mentre non si fa nulla per modificare l'educazione e le condizioni strutturali», dicono da Non Una di Meno. «Gli uomini uccidono perché possono, e non solo perché sono educati a farlo, ma perché viviamo in una struttura in cui il potere è ancora maschile. Non voler intervenire su questo porta a interventi cosmetici nel migliore dei casi, dannosi nel peggiore».

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