Il Pd deve chiarire una volta per tutte se si considera un partito eletto che ha il dono di detenere il Sacro Graal della buona politica e, debordante di intelligenza e competenza, di probità e dedizione, di comprensione e lungimiranza, non può che andare da solo a predicare la sua santità agli infedeli.

Oppure se si ritiene anch’esso un peccatore come tutti gli altri, non immune da contaminazioni con le brutture della vita, consustanziali alla politica reale, non a quella mediatica. E tra le brutture che i puri rifuggono c’è il compromesso, e cioè la propensione ad accordarsi con chi non ti è eguale, ma nemmeno troppo distante.

Governare da soli

Per un certo periodo è stata in voga nel circuito politico-mediatico una espressione che connotava il Pd, o per lo meno il suo dover essere, quale “partito a vocazione maggioritaria”, che si proiettava a governare da solo.

A parte che l’espressione è priva di senso logico per non dire politologico, perché, ovviamente, non esistono partiti che si prefiggono di rimanere piccoli e irrilevanti, nessuno può governare da solo in assenza di sistemi elettorali di tipo maggioritario, all’inglese o alla francese.

In Italia, dopo gli anni della Dc trionfante, il pieno di voti l’hanno fatto il PdL berlusconiano nel 2008 con il 37,4 per cento, e il M5s nel 2018 con il 32,7 per cento. Tanti voti, ma non sufficienti per insediarsi al governo in solitaria.

Provocazioni contiane

Ora il Pd deve accettare la sua condizione (attuale) di partito di media grandezza. Se invece pensa di poter accedere al soglio di palazzo Chigi ancora per grazia ricevuta, senza contrattare con alcuno, finirà in un gorgo di irrilevanza.

Elly Schlein è lontana mille miglia da questa supponenza. Lo si è visto negli ultimi giorni quando, con grande spirito di sopportazione, ha evitato di rispondere per le rime alle provocazioni contiane, e stemperato una conflittualità che poteva avvitarsi in una spirale distruttiva.

Si è limitata al minimo sindacale, difendendo con parole schiette la dignità del partito. Ma questo non è piaciuto a parte dei suoi , e a quasi tutta l’élite mediatica, che ha in gran dispetto il M5s e il suo leader e punta su un altro schema.

Dopo i litigi baresi è infatti tornata a risuonare l’ipotesi della incompatibilità tra le due formazioni ed è stato messo in dubbio, ultima Pina Picerno intervistata su questo giornale, il carattere progressista del M5s.

Residui neocentristi

Per costoro il Pd deve allearsi con i residui neocentristi degli ubiqui renziani e calendiani, che nelle elezioni locali sostengono indifferentemente candidati di destra o di sinistra a seconda delle convenienze. Oppure andare da solo, di nuovo incontro alla bella morte. Come ha fatto alle ultime elezioni Enrico Letta, peraltro sostenuto da tutto il partito: una cupio dissolvi di cui il Pd, e tutto il paese, soffrono ancora le conseguenze.

Per cui non c’è altra soluzione che allearsi con chi è meno lontano per rimontare la china e ricacciare all’opposizione una destra non solo arraffona e arrogante, ma pericolosa.

Impressiona la cecità – si spera non la complicità – dei neocentristi. Perché l’obiettivo prioritario di tutti i democratici è chiaro: arrestare una deriva sempre più chiaramente orbaniana, dimostrata in ultimo dalle mani calate sull’informazione sia televisiva – spazio fuori par condicio per i ministri – sia della carta stampata con la possibile acquisizione dell’agenzia Agi da parte del deputato-editore dei quotidiani filogovernativi, Antonio Angelucci (che, tra l’altro, vanta un record di assenteismo, con quasi il 100 per cento delle sedute saltate).

La purezza in politica è indice di infantilismo o di estremismo, che non per nulla Lenin considerava intimamente connessi. La contrattazione, il compromesso, l’accordo, persino le morotee convergenze parallele, sono invece l’essenza della democrazia. E fa bene Schlein a continuare a seguire questa linea, nonostante tutto.

© Riproduzione riservata