Le parole non sono innocenti. Qualche anno fa, Antonio Scurati ha usato parole dure contro la «società impolitica» e individualista dei diritti. E ha elogiato il «coraggio di “appartenere» ad una «comunità di destino», che significa «elevarsi all’altezza di un sentimento tragico della vita, lottare per la vita, desiderare la vita sapendo di galleggiare in un luogo incerto tra due estremi, tra l’essere e il nulla».

Parole che ricordano antichi littorici sermoni. E che la presidente del consiglio ha inanellato nel giorno della festa della Repubblica. Non sappiamo da chi abbia desunto questa filosofia del patriottismo etnonazionalista. Certo è che la «società di destino» è un termine furbesco. Colpisce l’immaginario, e stimola identificazione. È un termine che rivela una notevole hybris dominandi: la leader di una maggioranza si prende la libertà di dire ai suoi concittadini che cosa debbano pensare di sé stessi – quale identità debbano coltivare.

Non basta sentirsi parte di una comunità democratica, che difficilmente può propagandare “un” destino. Ma in questo caso, l’idea di una maggioranza si fa identica a quella della nazione: la parte sta per il tutto.

Le democrazie hanno costituzioni non ritagliate sulle maggioranze, regolano e limitano il potere politico, riconoscono il pluralismo e difendono uguali diritti – non sono queste le premesse giuste di una “comunità di destino”.

Non perché la democrazia ripudi l’idea di comunità, ma perché ne ha diverse al loro interno e non ne impone una sopra tutte. L’idea di comunità che ha un liberale non è la stessa di quella che ha un autoritario o un socialista, o un anarchico pacifista, o un indifferente.

Questa pluralità non trova posto nella “comunità di destino” che si riconosce in un’idea uni-verso di comunità. Un’idea che non è egualmente inclusiva, ma inclusiva secondo il contributo offerto al “destino” della patria: relativamente al “dovere” fiscale, per esempio, i benestanti hanno trattamenti di favore rispetto ai meno benestanti, ai precari.

Che destino hanno da offrire i cittadini più poveri di ogni genere e luogo se non servire chi sta sopra e tacere? Il posto che i cittadini meritano nella “comunità di destino” è proporzionale al loro contributo. Questa predica confligge con quanto la comunità democratica vuole, quando dichiara che la Repubblica si impegna a operare per il bene di tutti i suoi cittadini.

Vista da fuori, la propaganda della “comunità di destino” è imbarazzante per il paese intero. Da fuori il paese del destino ha l’aria di essere malmesso, con un governo che non sa mettere in opera i progetti del Pnrr, che sperpera denaro pubblico per un ponte che non c’è, che inaugura il suo quinquennio con un giro di vite sui diritti di espressione e che umilia chi non vive in famiglie “normali”, che ammicca infine agli evasori fiscali. Non c’è peggior modo di onorare il patriottismo.

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