- Le democrazie hanno costituzioni non ritagliate sulle maggioranze, regolano e limitano il potere politico, riconoscono il pluralismo e difendono uguali diritti – non sono queste le premesse giuste di una “comunità di destino”. Non perché la democrazia ripudi l’idea di comunità, ma perché ne ha diverse al loro interno e non ne impone una sopra tutte.
- I benestanti hanno trattamenti di favore rispetto ai precari. Che destino hanno da offrire i cittadini più poveri di ogni genere e luogo, se non servire chi sta sopra e tacere?
- Vista da fuori, la propaganda della “comunità di destino” è imbarazzante per il paese intero. Da fuori il paese del destino ha l’aria di essere malmesso.
Le parole non sono innocenti. Qualche anno fa, Antonio Scurati ha usato parole dure contro la «società impolitica» e individualista dei diritti. E ha elogiato il «coraggio di “appartenere» ad una «comunità di destino», che significa «elevarsi all’altezza di un sentimento tragico della vita, lottare per la vita, desiderare la vita sapendo di galleggiare in un luogo incerto tra due estremi, tra l’essere e il nulla». Parole che ricordano antichi littorici sermoni. E che la presidente del consigl


