Imprenditori stremati, alle prese con le difficoltà di un settore, come quello agricolo, indebolito duramente dalla crisi economica e colpito dalle tensioni geopolitiche e dai mutamenti dei mercati. Il movimento dei trattori ha una base spontanea. Ma all’interno si ritrova di tutto: estremisti di destra, No-vax, no euro che hanno trovato un territorio di protesta contro l’establishment, dall’Europa all’Italia.

È un magma che ribolle di ira e frustrazione con una furia iconoclasta che prende di mira le organizzazioni agricole ufficiali. Tutte, nessuna esclusa. E non mancano le contraddizioni interne, le divisioni tra chi cerca una punta a una soluzione dei problemi e chi invece vuole alzare i decibel della protesta.

Il movimento è un esempio di spontaneismo, nato dal passaparola in versione digitale, da WhatsApp ai social. Gli strumenti di comunicazione che hanno permesso di parlarsi per decidere i luoghi dei presidi. L’ingresso del casello autostradale di Orte è stato uno dei centri delle prime proteste e un ponte verso la capitale.

Ritorni e spaccature

Uno dei volti della mobilitazione è un déjà vu del ribellismo italiano: Danilo Calvani, oggi riferimento del Comitati agricoltori traditi, è stato uno degli animatori dei Forconi, movimento populista che nel 2013 ha fatto irruzione sulla scena politica, salvo sparire nel giro di poche settimane.

All’epoca era una mescolanza di autotrasportatori, operai, oltre agli agricoltori. Calvani aveva convocato una delle manifestazioni per “assediare” Montecitorio. Il presunto accerchiamento si era rivelato il ritrovo di uno sparuto gruppo di ribelli. Calvani, nel frattempo, è rimasto fedele a sé stesso: sui social ha continuato a pubblicare contenuti contro l’Europa, ma anche sprezzanti commenti sul presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, e altri dal tono omofobo. Oggi prova a mettersi in testa alla colonna di trattori. Senza che nessuno lo riconosca.

Tant’è che Salvatore Fais, imprenditore agricolo toscano, ha fondato la pagina social di Riscatto agricolo, rivendicando – a differenza di Calvani – la volontà di dialogare con le istituzioni per individuare le soluzioni ai problemi del settore. «Condividiamo i problemi, ma noi non facciamo politica. Siamo disposti ad accogliere Meloni e averla al nostro fianco», ha detto Fais in un’intervista video a Huffington Post. Sembrerebbe un dualismo, ma le divisioni sono in realtà ancora più profonde. Sui territori si va in ordine sparso, benché le redini delle mobilitazioni siano spesso nelle mani dell’estrema destra che soffia sul malcontento dei contadini.

In Sicilia spicca per esempio Mariano Ferro, altro ex “forcone”. A Roma si è materializzato Giuliano Castellino, ex leader romano dei neofascisti di Forza nuova. In mezzo tanti nomi in ascesa tra cui Giorgio Bissoli, portavoce del movimento veneto Uniti si vince. Tra gli aderenti alle manifestazioni, però, si trovano vari iscritti alle sigle ufficiali, Confagricoltura, Coldiretti, Cia, che si muovono in materia autonoma, disobbedendo alle richieste dei vertici. Ognuno va per sé.

Piattaforma comune

Ad accomunare questo magma indistinto sono le principali istanze: una maggiore attenzione verso gli agricoltori, sia dal punto di vista fiscale, che sulle misure di protezione rispetto alla concorrenza estera. Ci si muove su due livelli, uno europeo e l’altro italiano. Nel primo caso a Bruxelles viene rimproverata una Pac (Politica agricola comune) troppo orientata verso il Green Deal, quindi il rispetto dell’ambiente, che danneggerebbe le imprese agricole con le limitazioni all’uso di pesticidi (per cui è stato chiesto lo stop dalla commissione) o la rotazione delle colture.

Al governo Meloni i trattori chiedono il ripristino delle esenzioni Irpef e la reintroduzione delle misure a favore degli under 40. «Bisogna dichiarare lo stato di crisi e avviare una conferenza sull’agricoltura, favorendo l’accesso al credito e fermando i blocchi esecutivi», osserva Saverio De Bonis, imprenditore agricolo e presidente dell’associazione Grano Salus. «C’è poi il tema delle borse merci», racconta, «in cui i piccoli produttori sono schiacciati dalle multinazionali, che di fatto decidono il prezzo delle colture: in agricoltura il mercato non rispetta i principi del rapporto domanda-offerta».

Esiste un ulteriore piano del problema, di natura geopolitica: il mix di guerra in Ucraina e tensioni nel mar Rosso sta infatti dispiegando i suoi effetti. Mentre alla base resta la contestazione degli accordi di libero scambio che «favoriscono l’arrivo in Italia di prodotti agricoli a basso costo», incalza De Bonis. Una svolta pseudo autarchica di difficile realizzazione.

Il movimentismo dei contadini è poi cementato dalla sfiducia verso le principali organizzazioni: Confagricoltura, Cia e Coldiretti sono – chi più chi meno – nella blacklist dei manifestanti.

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