Dentro la Lega c’è una sola certezza: la riforma dell’autonomia differenziata è ormai l’unica vera bandiera per reggere in vista delle elezioni europee. Per questo, dopo il via libera in Senato ottenuto il 23 gennaio scorso, l’obiettivo è quello di arrivare al via libera definitivo anche alla Camera. Sarebbe una vittoria politica per tutti: il leader Matteo Salvini potrebbe dire di aver raggiunto il risultato sempre mancato da Umberto Bossi, il ministro Roberto Calderoli avrebbe portato a casa la ragion d’essere del suo dicastero. Con buona pace del Meridione e della prospettiva di partito nazionale che Salvini aveva voluto dare alla sua Lega.

Eppure, una certezza ce l’ha anche Fratelli d’Italia, che invece è preoccupata della forbice di disparità che la riforma potrebbe provocare tra nord e sud. Come ha previsto un emendamento proprio del partito della premier, senza la fissazione dei livelli essenziali delle prestazioni e le risorse necessarie per garantirli, l’autonomia differenziata non potrà partire.

Tecnicamente, infatti, il ddl Calderoli è una riforma che fissa meramente le procedure. Il vero motore che non è stato ancora acceso, invece, risiede in tre strutture tecnico-politiche che lavorano da oltre un anno ma il cui operato si è perso nelle nebbie.

La commissione Cassese

La prima e forse la più citata dai giornali è la cosiddetta commissione Cassese, dal nome del suo presidente Sabino Cassese. Proprio lui doveva essere una sorta di garante della costituzionalità della riforma e l’ex presidente della Consulta si è prestato a presiedere la squadra di 61 professori «tra le massime autorità del campo amministrativo e accademico, del diritto costituzionale, europeo ed internazionale, dell'economia e della matematica», li ha definiti Calderoli. Peccato che quasi subito si siano sfilati quattro nomi di peso: l'ex presidente della Camera Luciano Violante, gli ex presidenti della Corte Costituzionale Giuliano Amato e Franco Gallo, l'ex presidente del Consiglio di Stato Alessandro Pajno e l'ex ministro della Funzione pubblica Franco Bassanini.

In silenzio e anche un po’ ridimensionata, il comitato per i Lep ha tuttavia lavorato per un anno e di fatto completato i compiti previsti dal decreto di nomina: «Individuare i diritti civili e sociali che il cittadino italiano può pretendere dai vari soggetti costituenti la Repubblica italiana», è stata la sintesi di Calderoli.

Secondo una fonte interna alla commissione, infatti, l’attività è stata intensa con oltre 70 riunioni in poco più di sei mesi e la creazione di sottogruppi per materie. «Il nostro ruolo non era decisionale, ma solo di natura istruttoria», è stato spiegato. In altre parole, i professori hanno prima di tutto fatto un lavoro di ricognizione della legislazione vigente, per identificare quali siano le materie in cui sono ad oggi previsti dei livelli essenziali delle prestazioni: alcune di tipo quantitativo e quindi pesanti sul bilancio dello stato e altre di tipo qualitativo, come l’uniformità dei programmi scolastici, per cui non va quantificato un costo economico. «Noi siamo stati chiamati a identificare quali sono le prestazioni essenziali ai fini della tutela dei diritti da riconoscere a tutti i cittadini» e dunque anche le materie in cui i livelli essenziali non vanno previsti sulla base dell’articolo 116 terzo comma della Costituzione.

In realtà anche su questo non c’è stata l’unanimità tra i saggi, alcuni dei quali non si sono riconosciuti nella relazione finale di 753 pagine e in particolare proprio nell’identificazione delle materie “non Lep”, definita «assolutamente arbitraria».

Anche visto il completamento della relazione, con un po’ di stupore i membri hanno accolto la proroga – prevista con decreto di dieci giorni fa - della commissione che di fatto avrebbe esaurito il suo compito. In realtà un altro componente spiega politicamente questa scelta: «Rimaniamo come consesso di garanzia tecnica, a cui eventualmente chiedere nuovi pareri». Quindi come ombrello tecnico per una riforma ancora a metà del guado.

Intanto, la relazione conclusiva «è già stata inviata a tutti i ministeri, così come a regioni, province e comuni, verrà quindi trasmessa al parlamento e alla Commissione tecnica per i fabbisogni standard, in modo da procedere con i passaggi successivi», ha fatto sapere nel novembre scorso il ministero dell’Autonomia.

I fabbisogni standard

Fissate le prestazioni da dover garantire a tutti, infatti, manca ancora però la quantificazione. Quella non spetta ai professori ma a un’altra commissione che invece ha sede al ministero dell’Economia: la commissione tecnica per i fabbisogni standard, che esiste dal 2015 ed è presieduta da Elena D’Orlando, di cui fanno parte rappresentanti dei ministeri dell’Interno, dell’Autonomia, degli Affari europei, dell’Istituto nazionale di Statistica, dell’Anci e delle Regioni.

Per esemplificare il differente lavoro delle due commissioni: la commissione Cassese ha stabilito che il diritto al trasporto pubblico è una prestazione essenziale; la commissione tecnica per i fabbisogni standard dovrà invece fissare, sulla base delle finanze pubbliche, con quale ammontare economico il servizio andrà garantito. Cifre che però sono ancora in corso di individuazione e che di fatto sono il livello più politico dell’operazione Autonomia differenziata. La previsione è contenuta anche nel testo del ddl Calderoli: «Sulla base delle ipotesi tecniche formu­late dalla Commissione tecnica per i fabbisogni standard», «i costi e i fabbiso­gni standard sono determinati e aggiornati con cadenza almeno triennale con uno o più decreti del Presidente del Consiglio dei mi­nistri». A questi passaggi, infine, se ne aggiunge un terzo.

La cabina di regia

Il vertice della piramide, infatti, è la Cabina di regia per la determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni, che si è insediata nell’aprile 2023 ed è presieduta dal presidente del Consiglio dei ministri e costituita da ministri competenti nelle materie interessate, oltre che dai presidenti della Conferenza delle regioni e delle province autonome, dell’Unione delle province italiane e dell’Anci. A quest’organo eminentemente governativo spetta l’ultima parola su quali siano i Lep e vi siedono ministri di tutte le aree politiche della maggioranza: dai più appassionati del tema come i leghisti a quelli di Fratelli d’Italia, più freddi e attenti alle reazioni delle regioni meridionali già in subbuglio. In altre parole, anche quando e se la riforma verrà approvata in via definitiva alla Camera, le vere forche caudine saranno qui.

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